Le foto ed i video della spedizione moto di ieri saranno pubblici in una guida relativa a quella già pubblicata: Spedizione Moto.
A titolo informativo vi informo che per attraversare Panama e Colombia, rispettivamente separati dal DARIEN GAP (non esistono strade percorribili) è possibile imbarcarsi via veliero (6 giorni e 1000 euri) o volare la moto e voi a seguito (1 giorno e 1000 euri). Fra le due opzioni ho scelto volare che, a parità di costo, impiega meno tempo.
Sono le 6, suona la sveglia scendo per i saluti a Julian che in questi giorni ne ha viste di tutti i colori. Ringrazio, mi scuso, ci abbracciamo, foto di rito sul suo Couch e sono già in taxi diretto verso l’aeroporto di Bogotá. La moto imbarcata ieri è partita stamattina, io parto alle 8:40 ed arrivo alle 10:10 per poi recarmi all’ufficio cargo per ritirare la moto e partire subito.
Il volo è breve ed io ho un sonno mortale accumulato da tutte le ore piccole che ho fatto a casa di Julian. Cambio poltrona e mi metto a dormire in un posto più comodo che ha uno spazio libero fra me ed una signora seduta vicino al finestrino. Quando mi sveglio stanno servendo il caffè, la signora si sveglia mi vede, mi sorride e cominciamo a parlare. SI chiama Stina, è Norvegese e vive in una isoletta paradisiaca. A tutta prima penso che sia una ricca pensionata che si è spostata in un luogo più tranquillo e meno affollato, ma invece scopro che è un’attivista che ha istituito una scuola per sensibilizzare le persone più bisognose sulla salvaguardia ambientale e dell’eco sistema. Una donna simpatica, energica e ammirevole questa Stina che mi mostra il suo libro, i suoi progetti, le sue iniziative e le prometto che ne parlerei sul mio sito per vedere se qualcuno di voi si vuole fare un’esperienza con lei come insegnante e vivere nei caraibi aiutando chi ha bisogno.
Non ho con me il link adesso ma lo pubblicherò.
Yulieth dell’agenzia di spedizioni mi conferma via mail che la moto è già arrivata per cui chiudo il netbook sulle mie ginocchia, pago un taxi (15 USD) e in 30 minuti sono al magazzino dove vedo la moto. Aspetto l’apertura della dogana che è chiusa causa pausa pranzo e intanto monto la borsa serbatoio, metto le cose a loro posto, rimetto le protezioni alla tuta (che ho lavato in lavatrice a casa di Julian) e lascio tutto in ordine per quando mi ripresenterò fra poche decine di minuti con il permesso di ingresso della moto.
Allo sportello ci sono solo donne sovrappeso di mezza età che mi sorridono languidamente e questo mi da una certa confidenza nel credere che i permessi sono già in mano mia.
Saluto con i timbri che servono ed ho in mano il permesso di importazione della moto di 30 giorni, ma dubito che avrò bisogno di più viste le dimensioni di questo paese. Il clima è caldo, le persone sono diverse dai colombiani e venezuelani e ci sono un sacco di persone nere. Le palme da cocco sono nella città e quello di cui ho bisogno adesso è una mappa. Imbocco la strada sbagliata, mi perdo, chiedo in giro e non ci vuole molto per imboccare l’autostrada che porta in centro. Faccio incazzare un paio di auto in coda perchè per pagare il casello ci metto un sacco. Ho la giacca ed i pantaloni appoggiati sulle cosce e non riesco a tirar fuori il portafogli.
Arrivo in quello che credo sia il centro ed ho già speso 3 dollari. Poi mi rendo conto che Panama ha due facce. Una sporca, disordinata come me la immaginavo io ed una che è praticamente ultra tecnologica con grattacielo moderni, storti, strani, di vetro altissimi, un casino! Giro giro e giro e mi perdo mille volte entro anche in una favela ma ho il sorriso in faccia non può succedermi niente. Esco, prendo la tangenziale torno i centro, ma passo dietro. Cerco cerco e cerco ma all’improvviso mi rendo conto che non so più che cazzo sto cercando.
Ah giusto, la mappa!
Ho anche fame per cui prendo due piccioni con una fava entrando in un centro commerciale enorme. Parcheggio fuori, entro, l’aria condizionata è tipo a –20 e mentre prendo a calci i pinguini che mi corrono attorno chiedo dove sia il food court e mi vado a mangiare un piatto di pasta fredda: boom! 6 dollari. Caffè: boom 2.5 dollari.
Carissimo. La mappa del centro America non esiste in nessun luogo e devo portarmi via una cosa che rappresenta le strade di Panama ma sembra vecchia e non aggiornata. E vabbè. Mi chiudo in bagno, ne abuso ed esco dal centro commerciali senza la ben che minima idea di dove andare.
Sai cosa? – Andiamo a vedere dove finisce sta strada fra Panama e Colombia!
E ingrano la prima e mi avvio cercando di uscire dalla città e poi sono sulla tangenziale e poi sono in campagna e adesso il posto è veramente più carino! Però è tardi, sono le 17 e sta facendo buio. La mappa dice che c’è un lago più avanti e nonostante abbia già avvistato un paio di posti belli per accampare, tiro dritto fino a vedere l’acqua e cerco un posto per la notte.
Non lo trovo, ma una casa sembra avere accesso all’acqua per cui mi metto a cercare un passaggio e mi incrocio con un uomo che cammina appoggiandosi ad un remo come fosse una stampella. Lo guardo bene e mi rendo conto che ho davanti un indigeno nativo che parla poco spagnolo ma che ha i tratti somatici tipici. Emozionatissimo gli chiedo se il passaggio all’acqua sia aperto e se posso passare lì la notte. Mi sorride e dice dice di si e mi conferma che la notte non passa nessuno e che il luogo è tranquillo.
L’acqua è pulita e posso lavarmici se voglio.
Gasatissimo ringrazio, scendo al lago, metto la tenda e mi appare la moglie del signore, una donna vestita negli indumenti tipici che porta un contenitore per raccogliere l’acqua e portarla a casa. La sua voce ha un timbro diverso, è forte, leggermente rauca e diretta. Non parla spagnolo, il che rende il nostro incontro ancora più affascinante, ma quando vede la tenda sorride e mi dice: tu dorme lì!
Dico di si e ringrazio e mentre lei fa le sue cose io la spio, osservo le sue movenze, le cose che fa e penso di rubarle una foto, ma poi penso che non ne vale la pena. Mi stanno offrendo un posto dove dormire ed io faccio il paparazzo? No, meglio di no….
La signora sparisce sulla salita che porta all’unica casa sul lago, in questo lato del gran ponte che lo attraversa. La luce si è abbassata e il canto della selva ai miei lati inizia il suo concerto e ci sono insetti, pesci ed uccelli selvatici che fanno di questo momento un intenso ambiente in cui mi spoglio e nudo, entro nell’acqua tiepida del lago. Sento i pesciolini che mi baciucchiano le gambe, mi lavo lentamente e mi tolgo di dosso il sudore di una giornata afosa nel caldo di un paese nuovo. Bello il Panama.
Non ci sono solo grattacieli e asfalto, ma anche comunità di indigeni e cultura da scoprire. Poi lo stomaco mi dice che ho fame e mi rivesto riempiendomi di repellente (sai, il dengue) e con un atto forzato di fiducia lascio la tenda piena delle mie cose e a piedi me ne vado dall’altro lato del ponte a cercare cibo, qualunque cosa sia.
Attraverso il ponte, schivato dai camion che viaggiano di notte, ma ho la mia pila da fronte e quando arrivo al piccolo spaccio alimentari vicino alla strada i presenti mi chiedono dove sto dormendo. Menziono il nome di Antonio, il signore con il remo che mi ha lasciato passare ed i presenti sorridono ed annuiscono mentre mi spiegano che mi trovo in una delle poche comunità indigene rimaste e che loro vivono principalmente della pesca nel lago e dell’artigianato.
Felicissimo compro pane, mortadella, sottilette e mi faccio un panino, mentre si parla del più e del meno. Poi il pane finisce e ho proprio bisogno di tornare in tenda per evitare che venga qualcuno a rubare le mie cose. Ringrazio e me ne vado, tutto allegro e quando mi chiudo nella tenda non fa caldo, non fa freddo, la pancia è piena e fuori c’è un concerto degno di un trionfo di madre natura.
E che spettacolo cazzo!