Mi chiama Nancy, di nuovo. Ci mettiamo d’accordo sul luogo e punto di ritrovo e mi preparo per il check out in albergo. La foto che ha pubblicato sul profilo é appetibile, il tono malandrino e non convenzionale con cui mi parla é adorabile, ma la raucidità rivela la sua passione per il fumo.
Mi sembra di parlare con la Manila ai tempi delle elementari.
Ieri ho anche parlato con Achille e messaggiato con Renita che ha offerto la sua sua sistemazione per me.
Sono di nuovo al ristorante, ma il mio amore non c’é più. Mancio e me ne vado, litigando con il casellante dell’autostrada che non mi lascia entrare perché le moto non possono circolare sull’autostrada.
Arrivo a Jakarta dopo ore interminabili di code. Mai vista tanta gente pigiata in mezzo di strada ed io sono incagliato con la moto che a tempo di lumaca, si sposta metro dopo metro mentre la ventola parte a tutta randa per ore ed ore.
Spengo il motore e mi auguro che la cosa cessi dopo la prossima curva, ma non accade mai.
Arrivo nella zona di Cindalak, dove vive Nancy, giusto in tempo per prelevarla da lavoro prima che chiudano gli uffici.
Ci troviamo subito bene. Parliamo durante la sua pausa caffé e ci prendiamo in giro recitando ognuno la propria parte sul vecchio divano di pelle marrone forata che é disposto di fianco all’ingresso principale degli uffici in cui lavora.
La porto a casa in moto, trovando un angolo per il suo bel culo e seguendo le indicazioni che mi grida nell’orecchio mentre davanti a me si aprono vicoli che mi diverto a memorizzare per i prossimi giorni, quando passerò a trovarla a lavoro, diretto a casa.
Non ho ancora deciso quanto starò da lei, ma la casa non é altro che un garage allestito come abitazione, come una magra cucina cosparsa di cenere di sigaretta ed un materassino di gomma piuma gettato in un angolo. Per me, visto che fa anche un caldo della madonna, c’é il pavimento bianco di piastrelle.
Tanto ho il materiale da campeggio.
Il vicinato é fantastico. Tutti i bambini hanno seguito la moto e adesso mi spiano da lontano, mente porto in casa di Nancy le valigie laterali e posteriore, con tutti i miei orpelli attaccati sopra.
Moto parcheggiata ed allucchettata, decido di portare a cena Nancy, per ripagarla dell’ospitalità e conoscerla un po’ più di persona.
Mi conduce con una manciata di gira qui/gira la, in un’area super turistica dove europei rivestiti mangiano in coppia a lume di candela.
Le dico che io sono un morto di fame e che per permettermi una cena così devo rinunciare ad un mese di spuntini a base di cucina tradizionale indonesiana.
Sorride divertita, scartando il ristorante, ma ci riprova una senconda volta, portandomi davanti ad un alotr marciapiede costellato di insegne in inglese. Il ristorante su cui punta é meno appariscente del primo, come se non si notasse che adesso il costo di una cena é sceso di qualche dollaro rispetto al ristorante in cui mi ha portato prima.
Le dico che io sono un tipo da mamak, tipica trattoria malesiana ed indonesiana dove i locali vanno a consumare pasti locali a prezzi irrisori. Lei ride, sembra non credermi, ma mi studia mentre le faccio notare che preferisco pagarle una cena dove si mangia spendendo poco e darle una mano in casa se ha bisogno, piuttosto che sprecare carte da dieci per mangiare qualcosa che mi riempie tanto quanto un Nasi Goreng.
Vinco io. Seduti al Memek però, per non farsi mancare almeno quella soddisfazione, ordina lei in indonesiano, escludendomi dalla conversazione con la cameriera.
Mangiamo tutta roba buona ed alla fine, con un paio delle mie battutine, il ritmo della conversazione si ripristina. Forse vede anche lei che davanti le siede un viaggiatore e non un turista spendi e spandi.
Torniamo a casa e parliamo mentre sdraiamo sui rispettivi giacigli. Si sposta sul pavimento accanto a me, per il caldo. Io mi addormento solo dopo essermi cosparso una dose doppia di balsamo di tigre, unico rimedio contro le zanzare che la casa di Nancy ospita.
Buona notte.