In moto le distanze si accorciano e i tempi si riducono, specialmente in viaggio.
Questo enorme vantaggio mi ha permesso di toccare le grandi città per soste di convenienza (prelievo, acquisto, provviste, telefonata, internet, riparazione meccanica) per poi sgattaiolare al tramonto, ritornando sulle statali polverose della periferia e sui sentieri meno battuti che si svolgevano da lì verso ogni direzione ignota.
Ricordo come durante i primi mesi di viaggio, ancora 21enne, mi ostinavo a pernottare vicino ai centri abitati, spesso praticando il bivacco-avventura nelle zone meno sicure e adatte a questa pratica (ovvero in tutte quelle zone che sconsiglio nel Manuale del Motoviaggiatore). Rileggendo i post di quei primi 3 mesi di viaggio mi sono reso conto di come il mio stato d’animo mi tenesse legato all’abitudine della presenza di altre persone convincendomi di aver bisogno di loro in caso di necessità, compagnia, assistenza o conferma della sicurezza del luogo. Agli occhi di un ragazzo che aveva sempre vissuto in città, il concetto del “dove vale la pena trascorrere il proprio tempo” era dettato da un’infinità di abitudini legate a un ambiente urbano molto simile.
Quando poi mi sono allontanato dalle città, il viaggio e la moto mi hanno rivelato le infinite possibilità di cui potevano godere.
Una fra queste era appunto la solitudine. Non mi riferisco alla scelta del viaggio in solitaria piuttosto che in coppia o con un amico, ma della scelta di allontanarsi dalla moltitudine per dedicare tempo a sé stessi, con il solo obiettivo di instaurare un rapporto con la propria coscienza e sensibilità lontano da influenze esterne (o distrazioni). In un certo senso questo tipo di solitudine può essere confuso con il concetto di “noia” visto che non a tutti risulta facile vedere le infinite possibilità che si celano in una notte trascorsa ad accendere un falò e scaldarsi un piatto di pasta per poi coricarsi sotto le stelle senza aver proferito una parola per tutto il tempo. Per alcuni altri, me incluso, questo ritaglio di spazio che prescinde dal tempo e dallo spazio (e dalla circostanza del viaggio) è un vero tocca sana, indispensabile per smaltire l’enorme quantità di attenzioni, domande, conversazioni, domande, sorrisi e stimoli che ogni cosa provoca in me durante il viaggio.
Quando viaggio ogni persona mi vede come una presenza esotica, una novità nella propria routine e per questo fanno di tutto per avvicinarmi, coinvolgermi nelle loro attività quotidiane e invitarmi a rimanere con loro per più tempo.
Ad ogni moto la mia scoperta di quanto la solitudine in viaggio fosse un privilegio è avvenuta a 21 anni, una volta entrato in Russia. Lì ho scoperto come la densità della popolazione fosse drasticamente ridotta rispetto a quella che avevo percepito in Europa. Questo cambiamento drastico mi ha insegnato come le praterie desolate, la taiga e la totale assenza di persone nel raggio di km agissero sul mio stato d’animo in modo quasi terapeutico.
Non avevo mai provato cosa fosse il silenzio, prima di quel momento.
Una volta arrivato in Siberia il profilo urbano russo era abbastanza prevedibile: centinaia di km di nulla (o di tutto, oserei dire) e poi un grande agglomerato urbano pieno di asfalto, cemento, auto, gente, rumore cittadino, inquinamento e tutta la trafila di quelle cose che, se comparate alla calma dei km precedenti, appariva come un vetrina satura di cartelli, neon, scritte, pubblicità, banner e fotografie.
Ognuno di noi vede le cose a modo proprio. Io certamente ho vissuto questo ritorno alla civiltà con un grande senso di fastidio. Non tutte le città sono organizzate allo stesso modo, ma in quel caso mi chiedevo che senso avesse appallottolarsi tutti uno sopra l’altro quando ci sono migliaia di ettari di terra disponibili per tutti.
Fortuna che in un batter d’occhio la città mi era alle spalle, la luce delle stelle non veniva coperta dai lampioni e ad aspettarmi c’era solo la prateria silenziosa sotto la luna piena.
In quei casi ho anche rivalutato il fattore sicurezza, aspetto molto importante e trattato in maniera approfondita anche nel mio libro:
Quali sono stati gli incontri sgradevoli o pericolosi che ho avuto con persone e animali durante tutte le notti in cui ho praticato il bivacco-avventura?
Considerando che ho pernottato in tenda sotto le stelle per più di 1.500 notti, direi che la risposta è piuttosto sicura e semplice. Ho avuto ZERO incontri ravvicinati con animali pericolosi (solo avvistamenti, ma mai un aggressione mirata) e TRE avvicinamenti strani da parte di persone durante la notte (rivelatesi in alcuni casi controlli delle autorità a cui era arrivata la soffiata, oppure proprietari terrieri preoccupati per la mia incolumità e un ubriaco in Nicaragua che curiosava la mia moto da vicino), mentre ho avuto assai più problemi quando ho trascorso tempo vicino alle grandi città o centri abitati (fra cui una tentata aggressione in Turchia, un ospite inaspettato nella piazzola sul colle Likovittos ad Atene e chissà quante altre.
Alla luce dell’arricchimento personale che percepisco durante i bivacchi-avventura che pratico in solitaria, lontano da tutti e della sicurezza che questo ha comportato per la mia incolumità e per il proseguo del mio viaggio, invito tutti i futuri motoviaggiatori ad osare e lasciare a piccoli passi l’ambiente familiare della città, degli ostelli, della movida notturna e cercare quei tasselli perduti di se stessi che spesso risiedono sotto le stelle delle lande desolate più belle del mondo.
Una volta imparato a stare soli con voi stessi, potrete stare con chiunque altro.
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