L’Australia di Mino
E’ da aprile che progettavamo questo viaggio. La partenza era fissata al 19 dicembre.
Partire, andare in Australia, visitare alcuni amici di famiglia e poi mettersi in strada. Attraversare l’intero paese, da Sydney a Perth, a bordo di un fuoristrada camperizzato, senza neanche il wc. Undici giorni di deserto. Centinaia di km senza incontrare anima viva.
Ma poi ci è stato detto che l’impresa era impossibile, soprattutto nella stagione piovosa.
Ok, cambiamo programma. Ma questa è pur sempre la nostra avventura! Vogliamo vedere la grandiosa natura australiana. Tasmania! Sì, andiamo in Tasmania! Ce la giriamo in auto e tenda, immersi nella natura.
Uhm… però non c’è più posto sui traghetti… Forse conviene vedere qualcosa di diverso. Noleggiamo un’auto e ci giriamo la costa da Portland a Byron Bay. Una passeggiata, in confronto all’originale progetto di coast-to-coast, ma è pur sempre un percorso invidiabile. Vivremo comunque una esperienza on the road.
Ah, ma per noleggiare l’auto ci vuole la carta di credito. Ce l’abbiamo? No. Quanto tempo ci vuole per farla? Due settimane. Ma noi partiamo fra una settimana!!!
E’ così che comincia la mia esperienza in Australia. Un antefatto ridicolo che ha poi influenzato tutta la “cosa”. La chiamo “cosa” perché ho seri problemi a definirla “viaggio”. Soprattutto in un sito come questo, dove di viaggiatori veri ce ne sono.
Siamo partiti con l’intenzione di vivere un’avventura, ed alla fine ci siamo fatti una vacanza. Ma questo, almeno per me, è stato spunto di diverse riflessioni.
Prima di partire l’entusiasmo era alle stelle. Gli amici ed i parenti erano verdi d’invidia. Ci vedevano come dei pionieri che partivano a conquistare una terra lontana solo perché ci apprestavamo a raggiungere un posto all’altro capo del mondo.
Ma in fondo cos’è la distanza?
Sali su un aereo, mangi, dormi, guardi la tv, ti scassi le scatole per quasi 30 ore ed alla fine, magicamente, sei a destinazione. E’ avventura questa? Direi di no. In quelle 30 ore non hai avuto il minimo contatto con i luoghi attraversati. Hai solo perso tempo.
Volare fino in Australia non è certo più avventuroso di volare fino ad Alghero. E’ solo più stressante.
Arrivati, siamo stati ospitati da una famiglia italo-australiana. Hanno cucinato per noi, ci hanno portato in macchina in città e fuori, ci hanno perfino organizzato le escursioni nelle nostre prime giornate. Sembrava di essere in un villaggio turistico. Lungi da me l’essere irriconoscente. Per carità, sono stati splendidi. Ma questo ha finito per cozzare col mio orgoglio. Così, finito di vedere i luoghi principali di Sydney, ho sentito la necessità di prendere la mia strada.
Girare per la città senza nessuno a dirmi cosa fare. Cercare di risolvere da solo i problemi che si possono presentare, pur non padroneggiando perfettamente la lingua. Perdermi. Sentirmi parte del luogo.
Probabilmente la famiglia si è un po’ offesa quando ho spiegato il mio punto di vista, ma ha accettato. Il primo giorno l’ho passato col mio compagno di viaggio. E’ risultato fin troppo evidente che avevamo obiettivi diversi. E’ stata una giornata piuttosto inconcludente. Le idee erano troppo confuse. Non potevamo soddisfare entrambi le nostre aspettative.
Si dice che la vera ricchezza dell’uomo moderno sia il tempo. Io ci credo fermamente. Quando ti trovi di fronte ad un evento tanto atteso fai di tutto per viverlo al meglio. Il problema è che il meglio è relativo al tempo che puoi concederti. Se da mesi il tuo pensiero fisso è vedere l’Australia, succede che quando sei lì il solo pensiero di dover fare tutto in una manciata di giorni ti smonta. Quando poi non sei solo, ma viaggi con qualcuno, ti rendi conto che la tua personale interpretazione del viaggio non coincide con quella altrui. Se si avesse tutto il tempo del mondo si andrebbe d’amore e d’accordo. Si asseconderebbero gli interessi di tutti, ci si scambierebbe opinioni e ci si arricchirebbe molto di più di esperienze. Ma siccome il tempo è tiranno, finché passi i primi 8 giorni a vedere l’Opera House, l’Harbour Bridge, Bondi Beach, gli aborigeni ed i canguri tutto fila liscio. Sono cose che tradizionalmente vanno viste. Perlomeno per non fare la figura del pirla quando torni a casa. Ma poi?
Personalmente sentivo l’esigenza di collegare le tessere del puzzle. Camminare a piedi per la città. Percepirne la dimensione e le posizioni relative. E magari parlare anche con qualche sconosciuto. Così il giorno dopo ci siamo divisi. Ho cominciato a prendere strade a caso, accordando una certa preferenza a quelle secondarie. La mappa era nello zaino, ma non avevo alcuna intenzione di usarla. Tanto ci sono ovunque indicazioni stradali. Non vi dico che sollievo camminare tutto il giorno, scambiare due parole col turista di turno che vuole farsi fare una foto, dedicare tutto il tempo che vuoi a mangiare, girare per negozi e vedere mostre, per poi infine aspettare il tramonto sulla baia sdraiato nel giardino botanico.
Ma gli impegni con la famiglia incombono ed il capodanno è alle porte. Si riprende la vita in gruppo. Un’altra occasione d’oro mi si è presentata nell’ultimo dell’anno: poiché una calca immane di persone si appresta a guardare lo spettacolo pirotecnico da Balmain East, per prendere i posti migliori devi organizzarti dalla mattina. Ma poi, presi i posti, come ingannare il tempo? Gli australiani lo fanno bevendo litri di birra. Io ne approfitto per girovagare per questa parte di città per me nuova. E senza mappa. Non so come arrivo ad un parco a picco sul mare. Oltre ci sono solo cantieri. Mi incanto qualche minuto a fissare una vecchia coppia abbracciata su una panchina in questo scenario decisamente poco romantico. Scopro di provare nostalgia per alcune persone che sono rimaste a casa, e mi rendo conto che questi sono stati i minuti più intensi della mia permanenza in Australia fino ad ora.
Seguendo la costa (stavolta mi ero perso davvero), dopo un po’ torno a Balmain East. E’ un campo di battaglia. Persone e bottiglie ovunque. Bagni devastati. In acqua c’è di tutto. Normalmente l’Australia appare molto ordinata: ci sono molte regole ma tutti le rispettano. Chi ha dato vita al paese sa cosa significhi la parola “sacrificio” e ci tiene a mantenere il benessere conseguito. Le cose funzionano, il ritmo di vita è lento e tutti vivono più o meno in modo agiato. Ma se metti insieme un’orda di giovani vedi che le cose cambiano. Gli under 30 non hanno provato sulla loro pelle una vita di responsabilità; non hanno dovuto costruire nulla. Non sono poi diversi dai giovani italiani, ma in Australia lo stacco con la vecchia generazione è evidente. Trovarmi in quella realtà mi abbatte un poco d’animo, così passo il resto della serata parlando con una ragazza di Singapore.
E’ tempo di spostarsi: Melbourne ci aspetta. Prenotiamo una camera d’albergo (ho provato a chiedere ospitalità con Couch Surfing ma non ha funzionato) e prendiamo un volo economico. Arriviamo in albergo alle ore 23. Più che altro è un palazzo fatiscente, un po’ come tutto il quartiere. E comunque sebbene si chiami Oslo Hotel, in realtà è un ostello. La cosa non mi turba più di tanto. Per 4 giorni avevo dormito su un materasso gonfiabile forato (Doggy, il gatto di casa, lo aveva trovato utile per affilarsi le unghie), potevo dormire anche in un letto di una camera sporca. Il mio compagno di viaggio non la pensava allo stesso modo. Non era pronto psicologicamente a trovare una cosa del genere. In quel luogo le sue aspettative erano fortemente deluse, quindi non era in grado di godersi neanche il resto di ciò che la nuova città poteva offrire. La mattina successiva andiamo a fare una escursione in bus a Phillip Island per vedere la parata dei pinguini. Non abbiamo parlato quasi per niente. Il giorno dopo dovevamo prendere di nuovo il bus per percorrere la Great Ocean Road. Lui non si è alzato per niente, così sono andato da solo. Sul bus ho conosciuto una coppia italiana in viaggio di nozze ed ho passato la giornata con loro.
La natura in questa parte di costa è impressionante. Tanto imponente quanto fragile. Grosse formazioni rocciose, formate dall’erosione marina, oggi si presentano nella loro imponenza ma forse non esisteranno più tra una manciata di anni. Come i 12 apostoli, rimasti solo in 7. O il London Bridge, con una campata crollata. In luoghi come questi puoi percepire chiaramente come le cose siano passeggere e precarie. La nota stonata della giornata è costituita dalla mia caviglia. Ho preso una storta ed ora mi fa sempre più male.
Torno in camera e scopro che il mio compagno di viaggio ha prenotato un volo per la mattina successiva. Sta davvero male in quella camera, così preferisce tornare in un luogo più familiare. Io non ho ancora visto la città, così decido di restare. L’indomani cammino tutto il giorno, ma la caviglia comincia a cedere. Melbourne non mi piace molto, così la camminata diventa quasi una tortura. A parte i suoi meravigliosi parchi, la città è tutta uguale. Se non alzi gli occhi per cercare le particolarità architettoniche dei grattacieli, ti accorgi che al livello del suolo Melbourne non è altro che un’accozzaglia di negozi e bar che si espandono sui marciapiedi, con frotte di backpacker che passeggiano per le strade. Non so come ci si viva. La caviglia mi mette di cattivo umore e non ho molta voglia di parlare con la gente o di uscire la sera. Il giorno dopo lo passo a visitare qualche altro quartiere e compro qualche souvenir, ma poi cedo e torno in aeroporto, destinazione Sydney.
Passo l’ultimo giorno presso la solita famiglia. Non riesco a fare nulla, perciò mi rassegno e gioco con la wii insieme ai bimbi. Gli ultimi saluti e di nuovo all’aeroporto. Fra poco sarò ancora nella scatola per altre 30 ore, poi uscirò e sarò a casa. Penso che gli ultimi giorni sono stati piuttosto tristi. Capisco che non è questo il mio modo di viaggiare. Mi prometto che per il futuro, se avrò sufficiente tempo, viaggerò preferibilmente su ruota, da solo e con una tenda. Passerò indubbiamente del tempo con delle persone, probabilmente dormirò a casa loro, ma non mi fermerò che per il tempo necessario ad inquadrare grossolanamente l’ambiente che mi circonda.
Il dettaglio è roba da nomadi, non si addice a chi aspetta le ferie per concedersi la botta di vita.
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