Mi manca “quella” Alì. Un corpo che gode e sa dare il piacere che non ho mai provato difficilmente risulta banale a parole, immaturo, ripetitivo, scontato, superficiale, deludente. Quando un corpo gode e sa dare il piacere più grande, quelle parole sono la prima cosa che non esiste. Con Alì il sesso é sempre stato così. Trasportava il contest colloquiale e comunicativo che si era instaurato fra noi ad un circostanza muta, fatta di soli baci, sole carezze, sole mani, sole lingue, solo gemiti e forti sospiri o a parole così perverse da poter esistere solo se uno é dentro l’altra.
La notte sono in giro Phnom Penh a cercare segni che Miyako ha lasciato. Questo quaderno ne é la prova. Nero come i suoi capelli e come i suoi occhi giapponesi, ma soprattutto nero come quel suo quaderno nero su cui era solita scrivere la sua vita in momenti diversi della giornata.
Non ho mai tenuto un diario del mio viaggiare. Se lo faccio oggi, dopo oltre 11 mesi di viaggio, non dipende dall’ulima brillante scoperta, che tenere un diario si é rivelata essere. Dipende dal fatto che voglio ricordare Miyako nel modo in cui mi piaceva di più. Ideale, irreale, perfetta.
Specialmente quando era assorta nella scrittura. Con le mani segnate del nero della sua penna. Questa perfezione si sprigionava nella mia fantasia.
Oggi vago per i negozi, comparo i prezzi e cerco quel nero traslucido e sfumato di opaco che tanto mi ricorda l’alone nero che avvolgeva Miyako. Scrivo per ore. In un fastfood davanti ad un caffè nero o al bancone del bar # 9 Guest House avvolto dal nero notturno delle 2 del mattino.
Nera la penna che ho comprato e neri i miei pensieri che rivedono Miyako sedere davanti al suo coffe shake che aspetta, mentre una nuova pagina perde il suo bianco candore per raccontare quanto divese siano infondo la vera Miyako e quella che nel mio sogno io amo.
Mi trascino sotto la doccia e quando esco realizzo di essermi lavato soltanto le ascelle.
Svogliato e disinteressato consegno le chiavi della stanza 26 e raggiungo con una motorbike la stazione del bus. Il viaggio dura un’ora soltanto per me. Durante le altre 5 me la dormo divinamente appoggiato al finestrino. La ragazza seduta dietro sembra francese. Sta leggendo un libro giallo dal titolo “Vitaliano e tirolese”. Mi chiedo che diamine di libro sia mai quello e se portarlo con se in vacanza rifletta qualche anomalia esistenziale.
Litigo con un gommaio per lo sconto di 1 USD ma appena arriva Rie San e ci scambio le prima due parole mi addolcisco e pago il doppio del prezzo che avevo poc’anzi concordato.
Rie San é di Osaka (che sia il caso) e vivrà per due anni a Kratie in qualità di volontaria. Dorme in albergo ed ha 23 anni. Mi dice che sono bello e mi scatta due foto. Lei però non mi attrae. La guardo attraverso il velo della mia emozione e dei ricordi che lei mi rievoca sul Giappone, ma temo che dal di fuori possa suonare equivabile.
Le chiedo infatti email ed altre cose che farebbero presupporre un desiderio di reincontrarla. Poi esordisco dicendole che sono giusto giusto in partenza per il Laos e la magia si assuefà. Mi dice “Good Luck” ed io “Gambatte Kudasai” per la sua missione di volontaria e rimaniamo per almeno un minuto in silenzio, presi a fare ognuno la cosa che ci ha portato lì dove siamo.
Io rimonto la ruota posteriore. Io monto in sella alla sua bicicletta. Non mi domando il perché di tanta eloquenza da parte mia, specie se consapevole del fatto che non ci sarà alcun seguito all’incontro come quello avventuro con Rie San. Lei é Giapponese. Punto.
Questo basta a dare terreno ed acqua alla gioia che coltiva il mio cuore e la mia mente ricordando quel paese ed il tempo che vi ho trascorso.
Ovvio che se fosse stata americana, una ragazza come Rie San, non l’avrei neanche salutata.
Gli occhiali Rayban da 1 USD si sono già rotti, dopo nemmeno 10 giorni. Guido sereno fino allo spontare di tutti gli animali che vivono sul cemento della stada.
I cani ed i capponi mi mettono un’ansia intollerabile. Aspettano l’ultimo momento per togliersi di mezzo e lo fanno sempre di scatto, fiondandosi verso la ruota anteriore della mia moto. Specialmente i capponi.
Ecco perché ne ho già investito uno 4 giorni fa.
Devo avergli spezzato il collo, ma non del tutto. Dallo specchietto sinistro vedevo ancora il volatile sbattere le ali e schizzare via via da terra in piccole innaturali capriole. Dopo la quarta ha smesso e così anche di vivere.
Ma i cani, quelli, hanno un valore più affettivo che alimentare, ed ucciderne uno sotto la mia moto, mi rattristerebbe troppo.
Ecco perché lo stamaco mi si annoda ogni volta che un cano mi ripete lo stesso scherzo che quelli prima hanno fatto.
Non importa quanto distante dalla banchina io guidi, sembrano kamikaze. Si scagliano sulla scia del mio passaggio ed é lì che io inchiodo e a voce furibonda, bestemmio!
Non lo avevo mai fatto prima, ma da quando sono solo e non ho nessuno a cui poter mancare di rispetto, la bestemmia fa parte del quotidiano.
Mi ricorda i miei amici ed il modo sciocco con cui erano soliti inventarni di nuove e sfidarsi. Più che per miscredenza o scetticismo religioso, bestemmio per intrattenermi e per ricordare appunto questo lato di casa mia solitamente occupato dai miei amici.
Buffo come io abbia sempre pensato che ad ognuno di noi, anche il più religioso, capiti di avere fra la ristretta cerchia di buoni amici, almeno un bestemmiatore.
Nel mio caso, lo sono quasi tutti.
Sarà che a Firenze la bestemmia fa parte della punteggiatura, separa il predicato dai complementi. Oggi ho detto la mia a metà strada fra Kratie e Stroeng Treng. E’ crollato un ponte per colpa della pioggia che ha ingrossato il fiume. Chi é a piedi passa, quelli come me in moto o in auto, aspettano e se sono ispirati, bestemmiano!
So già che domani rischierò di perdere tutto attraversando la corrente del fiume in un guado lungo 300 metri. Se non altro ho festeggiato il mio ferragosto con più acqua di tutti voi.