NOTA: questo articolo è stato riesumato da un archivio web nel Luglio 2015 e postato rispettando la data originale in cui è stato scritto la prima volta. Testo trascritto senza alcuna correzione
Ho raggiunto questo posto.
Ho vissuto questo posto.
L’ho così conosciuto e fatto mio, in parte.
Dicevano di arrivare qui e sentirsi fuori dal proprio mondo, sicuramente in un altro.
Così moderno ecc ecc.
Quando sono arrivato non capivo niente, subivo solo l’alienazione di un’urbanizzazione miniaturizzata che mi destabalizzava i sensi.
Mi sembrava di essere ebbro.
In Osaka ho conosciuto il mio Giappone.
Moderno, veloce, preciso, silenzioso e caotico. Plastico, sfarzoso, materiale, inumano, falso, rispettoso, onorevole, automatico, preciso, ristretto, accessibile.
L’ho fatto mio lavorandoci e costruendo dietro all’idea che avevo di lui dalla ormai lontana Italia, un profilo diverso.
Il Giappone vive perdendo quello che di piu’ bello aveva nella propria tradizione sgretolandosi dietro ad un fottuto sogno Americano.
Il commercio, le tendenze e perfino i costumi di questo paese si sono convertiti a qualosa che a loro piace cosi’ tanto che pur di assomigliarli hanno spazzato via parte di cio’ che era solo loro.
Donne e uomini piu’ simili a star della televisione gironsolano profumati e agghindati con grandi marchi italiani dell’alta moda e con uno snobbismo che fa un po’male.
Non sanno nemmeno piu’ usare le bacchette questi ragazzi, me lo conferma un vecchio, uno che ancora ricorda quando il Giappone esisteva.
Poi tacciono, non si sporcano di parole che sanno non diranno mai, non parlano mai del loro paese, non danno mai pareri personali, non soffrono mai di qualcosa per il quale tu potresti parlare per una vita.
Non si abbassano mai a nessun emozione, se mai lo fanno con la testa, chinandosi ogni volta per scusarsi o ringraziarsi.
Le donne sono bellissime. Nascono belle. Hanno bellissime mani, ma bellissimi appalti in faccia che le rendono donne di plastica o bambole animate.
Questo e’ il peggio.
Il meglio sta tutto dentro al loro silenzio. Alla cura con cui si sforzano di sopportare e di costruire tutto dentro al loro silenzio.
Non lo condivido ma lo trovo mostruosamente coraggioso come stile di vita.
Si ride tanto in Giappone. Per qualunque cosa. Specilmaente quelle che dovrebero far pensare.
Ma lo stile si perde dietro a qualcosa di copiato, di emulato e di imparato a memoria.
Le grandi menti qui sono studenti simili a computer, i grandi uomini d’affari sono quelli che escono di casa alle 7 del mattino per tornare alle 23 o non tornare affatto.
Le donne sono vere donne solo se si sposano con un uomo veramente uomo.
E la vera donna lo e’ se moglie entro i 25 anni ed il suo uomo deve avere un lavoro che soddisfi i bisogni economici cosi’ assurdi che si susseguiranno.
Tutta una questione di onore e di faccia qui in Giappone. Muoiono per questo e non credono sia una brutta fine.
Se non hai i soldi, il successo, le capacita’, fai piu’ bella figura ad auto eliminarti.
Io c’ero su quel balcone mentre Tsuyoshi mi raccontaava divertito che questo ultimo anno davanti a dove ci trovavamo, si sono suicidate 15 perone diverse.
Il motivo era che non poteva pagare l’affitto.
Io taccio e mi chiedo se c’entri la religione, l’isolamento dalle altri civilta’. la ristrettezza mentale o il Dio denaro a rendere le persone cosi’ diverse fra loro.
Insegno a bambini di ogni eta’ e vengo ripreso a piu’ mandate perche’ non dovrei preoccuparmi di insegnare loro l’inglese, ma di insegnare loro ad imparare a memoria delle cazzate mettendoci in mezzo una trafile di facce buffe che li faccia divertire.
Le madri si compiacciono solo del voto che avranno sulla pagella e del fatto che possono raccontare ad altre mamme che il loro insegnate di inglese e’ giovane, bello, italiano, e che e’ venuto fin qui in moto.
Scopro che il Giappone e’ una gallina dalle uova d’oro per tutti quelli che sappiano cambiare un pannolino e dire quattro frasi in inglese elargendo un bel sorriso.
Schifiato e dispiaciuto in realta’ mi compiaccio confrontandomi con una cultura cosi’ leggera e superficiale, dove i problemi non esistono e quelli che ne soffrono si levano di mezzo.
Dopo una lite o uno scontro ci si sorride e ci si rivolge la parola come niente fosse accaduto.
MA IO SO. IO VEDO. IO HO PRATICATO i principi sui quali loro vivono.
Sopportazione, come nello Zen.
Autocontrollo, come nella meditazione.
Se ti lamenti sei un perdente.
E mentre io parlo di me in un modo che a lor da tutta l’idea d’essere un uomo fallito (con tutti i miei pensieri e riflessioni su cosa non mi piace e cosa si) loro piano piano si scoprono calcolatori.
Ma fuori da un ambiente lavortivo, caspita.
Mille attrazioni. Mille divertimenti. Mille opportunita’. Ed uno straniero puo’ e non puo’ praticamente tutto.
Anche vivere con niente in questa citta’ quasi piu’ cara del mondo.
Tutto funziona.
Ecco cosa pensavo al mio arrivo e cosa penso ancora.
Il Giappone funziona. Come uno stereo di marca (che loro producono), come uno strumento costoso o come ogni altra fottuta cosa materiale.
Ma funziona a modo loro e questo a volte puo’ creare un fastidio a modo mio.