NOTA: questo articolo è stato riesumato da un archivio web nel Luglio 2015 e postato rispettando la data originale in cui è stato scritto la prima volta. Testo trascritto senza alcuna correzione
Si riparte. Per questo volo ho investito 200 euro. Andata e ritorno in tempo da arresto (da espulsione dai…). Ad una sola ora e trenta minuti, distano il Kansai International Airport e la mia Osaka. A volte la forza di volontà messa al servizio di un grande progetto (non solo culturale, ma anche sentimentale, professionale, familiare, artistico ecc) si vanifica se subordinata anche alla sensibilità ed al rigore o giudizio di altri. In questo caso propedeutico. Potrei viaggiare da solo per l’eternità, in un modo o nell’altro, confrontandomi solo con me stesso e spingendo la mia passione verso i viaggi finché avrei vita, ma sarebbe un traguardo poco glorioso perchè scontato (morte a parte).
In questo caso potei essere obbligato a tornare a casa, dove non vorrei, dove non saprei cosa fare per ritornare dove ero spinto da un volere che non é il mio. Ma quello di uno sconosciuto a cui dovrò piacere in un lasso di tempo di 5 minuti. Dovrò dire, chiedere e fare le cose giuste e per farlo serve un controllo che in questo giorno é stato messo a dura prova. Cosí, discorrendo di una parentesi piccola ma cosí incisiva per la mia avventura, realizzo che ogni altra influenza determinante nella nostra vita, spesso limita e vincola la nostra possibilità di esperire. E questo non vale solo per la cultura, ma anche per l’amore, il lavoro, la famiglia e l’arte.
Quante volte ho sentito dire agli amici o agli ammiratori di questo progetto che invidiano la libertà con cui mi sono allontanato da casa lasciando tutto. Quella libertà che loro lamentano di non avere o quel tutto che loro confessano di non poter lasciare, mai. Non sono queste le influenze determinanti. Non é questa la sensibilità ed il rigore di cui parlo. Questi sono legami che non si perdono con il tempo o con la distanza. Quello che ci lega o che dovrebbe legarci non sono regole, direttive, o istituzioni, ma sentimenti, se pur egoistici ed opportunisti, solo dei sentimenti.
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In definitiva, quello che detesto non è il passato ed il modo in cui esso mi ha portato dove sono, padrone delle mie domande e privo delle vie risposte. Detesto quello che, sempre, ha riportato i miei viaggi (le mie esperienze) indietro senza che io glielo chiedessi o che mi venisse spiegato il perché. Pensare di essere venuto fin qui e giudicarmi un furbo perché pretendo l’abolizione delle dogane quando poi ho lavorato per 3 mesi illegalmente in Giappone, mi sembra un discorso patetico. Un discorso che se non possono fare i Giapponesi con la loro schematicità e rigore (un rigore che io stesso ho violato con il loro aiuto) non penso possa fare nessun’altro. Pensare di essere venuto qui e giudicarmi un eroe perché persevero nel mettere in serie tanti piccoli successi illeciti, non mi sembra gratificante. Sono qui perché sto viaggiando.
L’omaggio al mio sforzo nei primi 22.000 km é stato premiato con nuova grinta con cui far fronte al problema riscontrato dopo la Russia. Il compenso economico stratosferico di cui ho goduto per tre mesi qui, altro non é che il premio per quello che sto facendo. Per quello che trasmetto ai miei bambini e per l’amore che dono loro nel mettere tutto me stesso in quello che mi sono offerto di insegnarli. Senza capacità e passione, avrebbero fatto di me un supplente per tappare un buco che avrebbero presto affidato ad un professionista.
Molti hanno criticato, hanno parlato di gioco sporco. Che al posto mio, con una bleffa, chiuque avrebbe potuto fare quello che mi proponevo di fare io.
Il mondo non ha una chiave sola che ho rubato e che nascondo con gelosia per girarmelo tutto facendo di esso la più bella delle mie esperienze. Il mondo è qui per tutti e da sempre, da molto prima che mi decidessi a girarlo e mostrare a voi come appare ai miei occhi e al mio cuore. Quello che criticate non è quello che faccio io del mondo, ma quello che il mondo é. Il lavoro illegale non esiste solo in Giappone. E se svolto male, è anche molto meno impietoso di un impiego regolarizzato. Se ho lavorato qui per 3 mesi, è perché queste persone hanno avuto bisogno di me. E io di loro.