Città toccate durante la traversata in Croazia: Zagabria, Karfovac, Senj, Karlobag, Zadar, Sibenik, Split, Makarska, Tucepi, Ploce, Dubrovnik.
E’ troppo freddo e troppo tardi quando entro a Zagabria.
Sono stremato dai chilomentri percorsi e la capitale, mi appare di nuovo un centro urbano da cui fuggire.
Ma mi arrendo.
Chiedo in giro i costi degli alberghi, ma il prezzo inverosimile mi ricorda che nel 2001 e nel 2002, in viaggio in autostop e bicicletta, ero solito dormire all’aperto anche in grandi città.
Non so perché mi sia balenata in testa l’idea di pagare 30 euri per una notte in albergo, quando con 30 euri ci viaggio quasi una settiana.
Nel parco pubblico che addobba la zona diplomatica o non so che, stendo la mia stuoia e senza montare la tenda per non dare nell’occhio, tenere sotto tiro la moto e avere un quadro della situazione in caso di presenze, mi infilo nel sacco a pelo e buona notte.
Mi sveglio alle 10, con un cane che annusa le mie scarpe, il padrone che siede su una panchina poco più in là e il traffico cittadino che affolla le strade.
Riparto verso la costa con in corpo un panino.
Una volta arrivato alla costa ritrovo una serenità che la città mi aveva portato via.
Il mare ha sempre fatto da sfondo ai miei viaggi. Da in qualche modo la direzione e la protezione che a me sono congeniali.
Nel mare mi posso lavare, mi posso accampare e posso confortarmi osservandolo senza sentirmi solo.
Tocco varie città che salto a piè pari, fino a quando guidato da qualcosa che sembra essere istinto, arrivo alla città di Makarska e faccio di tutto per olterpassare la macchia che oscura la presenza del mare.
Quando trovo il mare oltre gli alberi trovo anche un atollo abbandonato con una pineta tutta per me, un tavolino di pietra e una spiaggia di sassi bianchi che abbraccia un mare piatto e trasparente.
Sono nudo per 4 giorni, con una minima scorta di viveri e acqua. Faccio la vera vita del cavernicolo ed accolgo i visitatori accidentali con una formale indifferenza.
Il gelato e le persone sono spesso disponibili e curiose. Parlano inglese e tedesco. A volte francese.
Ci sono però altri aspetti che rendono un viaggio così pieno di variabili.
La consapevolezza che si ha del proprio viaggiare.
Lungo tutta la Croazia infatti indosserò l’equipaggiamento invernale, montando perfino le moffole e non farò la ben che minima manutenzione alla moto, fra cui il tiraggio della catena ed il controllo del livello dell’olio.
Servirà una improvvisa caduta a farmi valutare alcune cose.
Prima fra tutte la disposizione dei pesi nelle borse e la decisione di sbarazzarmi di molte delle cose inutili che per precauzione mi sono portato dietro.
In secondo luogo una più accurata manutenzione ad ogni sosta benzina.
Sono a poche centinaia di chilometri da Firenze, ma questo non vuol certo dire che la moto abbia una vita propria e si automantenga solo per il fatto di essere in ballo per il giro del mondo in moto.
Ho con me una chitarra, per i momenti di solitudine.
Serve tanto e servirebbe di più se la usassi come facevo in bicicletta nel 2002 per esibirmi in pubblico e racimolare qualche spicciolo, ma per il momento non ne sento il bisogno.
Ricordo entrare a Zagabria ed avere paura di non so cosa, come se il silenzio urbano di una città straniera debba necessariamente nascondere il demonio dietro ogni suo angolo.
Ricordo il senso di possesso che ho provato per l’atollo di Makarska e la libertà di denudarmi per condurre una vita temporaneamente primitiva.
Ricordo un curioso uomo nella macchia darmi gentili istruzioni su come trovare la via di uscita.
Ricordo i castelli di Dubrovnik ed i tramonti sulla costa rocciosa.
Ricordo di essere fuggito da Zadar, perché era sabato e tutti erano ubriachi ed io me ne stavo tranquillo avvolto dal mio sacco a pelo rannicchiato sotto la scala d’emrgenza di un centro commerciale.
Ricordo il gelato croato ed accamparmi su una parete a picco sul mare e discenderla al mattino per farmi un bagno.