NOTA: questo articolo è stato riesumato da un archivio web nel Agosto 2015 e postato rispettando la data originale in cui è stato scritto la prima volta. Testo trascritto senza alcuna correzione
400 km all’arrivo.
Le strade adesso sono miste. Non più tratti infinitamente lunghi. Non più orizzonti troppo lontani per sperare di poterli varcare, un giorno. Ci sono alberi, operai che lavorano sudati. Camionette stracariche di balle di fieno.
Ho un nodo allo stomaco indescrivibile. La paura di non farcela da solo, ma di dover arrivare in Vladivostok sulle ruote di un altro veicolo, magari quello di un camion. Dopo il guasto nel tratto deserto fra Cità e Chabarovsk, ho percorso quasi 1500 km sedendo per tre giorni su un camion in compagnia di due camionisti russi. Padre e figlio. Io non parlo molto della loro lingua, ma affascino tutti i loro amici, che ad ogni sosta per consumare un pasto, guardano me e la moto rotta sul traino rimorchio e mi deridono in quella fraterna solidarietà ex sovietica. La notte dormo sotto al cassone del camion. Loro russano troppo ed io non riesco a dormire seduto. Spero solo che al risveglio, non si scordino che fra le ruote del loro camion c’é la mia testa infagottata in una cappello di lana firmato Ufo Plast.
A Chabarovsk ci sono io e la mia moto chiusi in un autolavaggio che rimane aperto tutta la notte al solo scopo di aiutarmi a risolvere il mio problema il prima possibile. La moto riparte. Non sono in realtà ancora consapevole del vero problema che l’ha bloccata 1500 km più avanti, lasciandomi senza cibo e acqua in una zona deserta della Russia orientale.
Scoprirò solo in Giappone, 5 mesi dopo, che era una misera membrana del rubinetto benzina ad ingolfare la moto. Sono di nuovo in sella, e a Vladivostok mancano ormai solo 300 km. La moto prosegue bene, ma ad alti regimi singhiozza e perde colpi. Mantengo quindi un passo turistico blando. Quando arrivo al porto di Vladivostok, salutato dalla Tigre che é il simbolo di tutta la città, ho una velocità massima di 15 km orari e fumo bianco che esce dallo scarico. Ma arrivo davanti al punto di partenza del ferry per il Giappone.
La prima notte la passo negli uffici commerciali della FUJI, chiedendo di cortesia al guardiano che mi chiama con un paterno John e mi ricorda a gesti che potrò dormire sul divano della stanza caffé entro e non oltre le 7.30 di mattina, prima dell’arrivo dei dirigenti di azienda. Abuso del bagno dove mi faccio una doccia con un solo misero lavandino. Lavo denti e biancheria intima. Esco profumato, ma lascio un odore di 2 settimane di sporcizia dentro ad un bagno pubblico. Dormo comodamente su un divano di pelle. Poche ore dopo, una mano gentile mi scuote e mi invita ad uscire.
Sono come una pallina da flipper che rimbalza da ufficio all’altro dentro e fuori dagli uffici, al solo scopo di capire cosa mi serva per uscire da questo paese per imbarcarmi per il Giappone. Alla biglietteria del porto mi richiedono con un pessimo inglese una sorta di carta di uscita o esportazione della mia moto. Mi indirizzano non so dove, e preso dal senso di impotenza, finisco per farmi accompagnare dal tizio meno sveglio e meno loquace, in una sorta di ufficio con mille sportelli. La coda di attesa mi impegna per diversi minuti, curioso scoprire che il tipo che mi ha accompagnato, se ne sia andato senza dire nulla, di nascosto, come per evitare ch’io lo pregassi a restare per farmi compagnia. Mentre parlo in inglese con Serghei, un russo dai tratti asiatici, spunta al mio fianco un uomo sui 40, con abiti di pelle da centauro e una bandana da pirata sulla testa.
Il discorso condito di dettagli impossibili a cui Serghei mi sottoponeva da 20 minuti per spiegarmi la difficoltà per un motociclista straniero nel voler uscire dalla Russia, verte con velocità sulla nuova presenza che mi si é affiancata. Si presenta con il nome di Valera.
Lui e Serghei sembrano conoscersi e scandiscono con certo sincronismo che Valera é qui per aiutarmi e che lo farà per soli 100 dollari. Preparerà i documenti per farmi uscire con la moto dalla Russia, si sbatterà per trovarmi il biglietto, mi ospiterà a casa sua fino al giorno della partenza e mi seguirà come un fedele servitore fino al momento in cui lo saluterò dal ponte della nave, con un sorriso sulle labbra.
Accetto, anche se 100 dollari in un botto solo non li avevo mai dati a nessuno se non per pagare traghetti o visti consolari. La mia condizione però é quella di pagarlo a lavoro ultimato, perché sono diffidente e lui, come dire, non mi piace. Valera accetta senza poter dire altro e mi invita ad uscire dove mi spiega di cosa ho bisogno.
La notte stessa sono a casa sia, dove la sua bellissima moglie mi prepara una cena tipica russa e invita in casa sua gli altri due motociclisti che, come me, sono a Vladivostok per muoversi verso altri paesi per compiere la loro personale avventura. Uno é Gunter, 77 anni, dalla Germania. Divideremo la camera che Valera mette a disposizione dei motociclisti che aiuta e l’altra, appena sedutasi sla mio fianco, é Angelica, 31 anni, dall’Austria. Motociclista in gonnella, capello corto, bel sorriso ed una forza d’animo impressionante.
Anche lei come me ha raggiunto Vladivostok dalla città originaria in Europa. Non ci siamo incontrati mai prima di allora perché il suo buon senso le ha fatto raggiungere Vladivostok avvalendosi del treno che risparmia a molti motociclisti, il tratto desertico di 2000 km sul quale io ho rischiato di morire di fame. Quando glielo racconto, sorride e si congratula.
Valera ci mostra le foto degli altri motociclisti passati da lui prima di noi. Sono molti, da ogni parte del mondo e con ogni mezzo possibile immaginabile. Quello che mi incuriosisce di più sono una coppia di inglesi, che viaggiano su un sidecar ristrutturato in stile carro armato. Molto molto all’avanguardia. Scattiamo foto e compiliamo lettere personali che la moglie custodirà assieme a tutte le altre che sono state scritte prima del nostro arrivo. Ci ritiriamo per la notte e sarà un piacere condividere la mia stanza con questo veterano dei viaggi di 77 anni che ad intervalli regolari di 30 minuti, deodora la stanza con rutti e scuregge di livelli acustici mai uditi.
Il giorno dopo Valera e io raggiungeremo la dogana assieme per presentare e firmare le carte per ottenere il permesso grazia al quale uscirò dalla Russia. Il giorno prima viaggiavamo su una Honda custom, oggi su una Kawasaki. Gli chiedo quante moto possegga e lui mi dice nessuna. Mi spiega allora che ha un traffico di moto usate e spesso riciclate. E che lui può guidare tutte le moto che nasconde in garage ma che non ne possiede alcuna perché così é più facile avere sempre a disposizione una moto da poter vendere al miglior offerente.
Arriviamo alla dogana e firmiamo. Il lavoro più grosso é stato fatto, adesso ci sono alcune cose che deve fare lui e nell’annunciarmelo, sembra loschissimo. Noto che molti dei posti che abbiamo visitato, sono gremiti di suoi conoscenti e che non ci siano situazioni a cui Valera non risulti familiare. Glielo faccio notare e lui ironizzando mi dice che Vladivostok é la sua città e che le chiave ce le ha solo lui. Ma ha anche le chiavi della moto su cui sediamo e forse galvanizzato dal mio commento, spalanca il gas in mezzo al traffico cittadino e strada bagnata e si diverte in mille peripezie alla guida di questa moto sportiva nera.
Il sogno di raggiungere il Giappone passa in secondo piano e lascia spazio all’idea dei miei che ricevono una telefonata dall’ambasciata italiana dove gli viene annunciato che il figlio é morto in un incidente stradale in Vladivostok, mentre sedeva sul posto passeggero di una moto sportiva. Gli chiedo di rallentare e lo faccio tre volte. Lui mi dice che ci prova, ma appena possibile azzarda una manovra rischiosa o spalanca il gas sul primo tratto vuoto, anche se bagnato.
Arriviamo davanti ad una banca e mentre lui mi dice di aspettarlo 15 minuti, io gli volto le spalle e me ne vado. Ha esagerato. Mi chiede perché e senza rispondergli mi infilo in viottoli dove lui con la moto non possa seguirmi. Mi prega di aspettarlo e mi raggiunge nei punti in cui i viottoli si congiungono alla strada principale. Gli dico che voglio raggiungere casa a piedi e che lui può fare quello che deve fare. Torno a casa dopo un’infinità.
Davanti a casa sua, la mia moto non c’é più. Non l’ho ancora pagato, deve aver temuto che la mia fosse una mossa falsa per arrivare alla moto in piena notte e andarmene senza pagare. Imbecille!
Entro in camera e ignoro l’idea di andarlo a salutare.
La mattina dopo trovo la moto fuori con gli specchietti spezzati e le carene di sinistra più rotte di come le ricordassi. Valera non mi dice niente, ma é evidente che l’ha fatta cadere nel tentativo di metterla in garage a notte fonda, quando non mi ha visto tornare. Ci sono 7 amici russi, con relative fidanzante che squittiscono fra le moto a riparare e quelle accese che fanno casino e con il sangue alla testa rimprovero Valera, e gli faccio notare che nessuno gli aveva chiesto di mettere la moto in garage e che avrebbe dovuto dirmi che la moto gli era caduta. Sparisce e riappare 3 ore dopo con due specchietti nuovi originali. Se non altro ha speso almeno una parte dei soldi che gli devo.
Scendo in paese a piedi e prelevo i soldi per lui, per il biglietto del ferry e per me, per mangiare qualcosa negli ultimi 3 giorni. Non ho intenzione di farmi offrire più nulla da lui, anche se la moglie, disarmata e avvilita, mi porta la colazione in camera tutti i giorni per scusarsi. Sto rendendomi antipatico e scomodo, un ospite sgradevole, ma realizzo che lui non é mio amico e io non sono amico suo. Che lui farà un lavoro e io gli darò i miei soldi. Che lui lavora per me, e che lo sta facendo in maniera totalmente discutibile.
L’ultima sera si tiene una corsa di gare clandestine in moto e auto in una angolo remoto di Vladivostok. Vanno tutti. Mi faccio lasciare a casa dichiarandomi stanco. In realtà mi spiace mancare ad un evento simile. Adrenalina, donne, motori e l’opportunità di capire un mondo a cui non appartengo ma che mi affascina. Leggo, scrivo, coccolo un gatto, poi mi addormento. Alle 3 del mattino mi sveglio di soprassalto. E’ uno dei figli di Valera che mandato dal padre, é entrato senza bussare in piena notte nella camera dove dormo per accertarsi che io non stia dando fuoco alla casa o rubando i divani.
Assurdo.
In realtà mi esalta il modo in cui tutto é degenerato e come i conflitti si protraggono per motivazioni che non sono più di principio ma di orgoglio. Ma non mi va di comprare il sorriso o l’accondiscendenza di nessuno, ne tanto meno la mia. I momenti grigi esistono e passano, senza la promessa che sia per l’ultima volta. E guarda caso, quella sensazione di alienazione e disgusto, ha tirato fuori da me una delle lettere più belle ch’io abbia mai saputo scrivere a me stesso. Una volta sul ponte della nave, con la mia moto ancora rotta e i miei ultimi 200 euro, non c’era nessun Valera a salutarmi dal porto, ma la Russia, tutta.
Il grigiore era sparito e l’alienazione dimenticata. E con essa anche la voglia di scrivere.
Restavo solo io e la scommessa a cui mi sarei dovuto preparare una volta arrivato in Giappone.