Città toccate durante la traversata in Kosovo: Produjevo, Pristina, Lipljan, Urosevac, Kacanik.
Il Kosovo appare piatto, adagiato su una distesa polverosa di calce e mattoni.
La stanno ricostruendo adesso.
Sta diventando un centro nevralgico europeo o così sembra.
La raggiungo dopo una pacifica tratta piana circondata dai campi, dove ancora spuntano case demolite dalla guerra.
In centro città vengo accolto da Rama, che mi prende con se e mi offre la sua ospitalità.
Lui parla in italiano perché ha vissuto in Italia e Germania per 10 anni dove é diventato ricco ed é tornato in Kosovo per investire i suoi soldi.
Il kosovo é un cantiere in costruzione dove si ergono le industrie di domani ed i quartieri che oggi ospitano già la nuova generazione.
Non viaggio in lungo ed in largo. Quello che ho bisogno di capire e di vedere risiede nella memoria delle persone, nei segni lascaiti dal tempo e dal presente e dai racconti apostrofati di Rama, che con il suo italiano si lascia intendere molto bene.
Sono a spese sue per la notte, per i pasti e per tutto il resto.
Assieme all’amico mi scorta in macchina in ogni luogo importante della città e della campagna in cui appaiono reperti o monumenti attinenti alla guerra.
Mi parla del Kosovo, della Serbia, dell’UCK ed é ovvio che da buon patriota e fiero kosovaro, la versione serba viene ribalatata a pié pari.
Io non solo lì per dare giudizi a lui, né tanto meno per smentire la storia.
Sono lì per capire la storia attraverso le persone e per capire le persone attraverso la storia.
La moto é parcheggiata nel suo ufficio ancora in allestimento.
Prima dormo accanto a lei, poi quando Rama mi convince, ripongo fiducia in lui e mi trasferisco in uno dei suoi appartamenti lasciando la moto chiusa in un ufficio dove spero di ritrovarla.
Assaggio le pietanze tradizionali, assaggio la birra e memorizzo le storie.
Poso con lui accanto alle tombe dei terroristi dell’Uck e firmo il guest book nei vari reperti che sono portato a visitare.
Lascio il Kosovo dopo 4 giorni, con una perplessa concezione dei fatti e delle parti che hanno composto il conflitto, ma con la certezza che il Kosovo non sia rischioso come dice Aci Viaggiare Sicuri o che non ci sia molto più di cui temere di quanto ci sia sempre stato in centro a Firenze dopo mezzanotte.
Ho degli amici in Kosovo, che in una seconda occasione non tarderebero a prendersi di nuovo cura di me e questo basta a farmi lasciare il paese con un sorriso sulle labbra ed un formale silenzio nel cuore.
Ricordo Rama che dice “Se c’é da pagare, io pago” ed io che lo prego di non eccedere in niente, ma solo di aiutarmi a trovare una sistemazione dove accamparmi.
Ricordo le persone kosovare aiutarmi a fare telefonate o a trovare i posti più impervi della città e ricordo passanti sorridere nel vedermi seduto su una panchina con la tipica faccia di uno che dice “dove cazzo sono?”
Ricordo il gelato più buono e a buon mercato che io abbia mai mangiato.
Ricordo i lineamenti così netti e freddi della commessa che lavora nel supermercato di Rama. Gli sguardi che le tiro e lei che per non esporsi troppo in presenza del suo datore di lavoro, abbassa lo sguardo e se ne va nel suo reparto.
Ricordo la gita in auto con l’amico di Rama ubriaco che ascolta musica araba e ripete Allah mentre sfida le curve che ci portano al ristorante ed io penso che se fa un incidente gli faccio un applauso.
Ricordo di aver stretto la mano di un uomo al mio arrivo e di aver abbracciato quello stesso uomo il giorno della mia partenza con una considerazione diversa diversa di lui.