12 Dicembre 2007
Passo un’intera nottata davanti al computer. Non so come, finisco per inchiodarmi davanti alla serie animata di Neon Genesis Evangelion.
Ascoltare quella colonna sonora. Intercettare poche parole in giapponese e sorprendermi nel ricordare tutti i nomi dei personaggi della seria mi mette un senso di profonda malinconia. Come se l’importanza che quelle inutili passioni di ragazzo che avevo a 15 anni, fossero adesso le ultime cose belle e semplici da amare di un’adolescenza che non mi appartiene più.
Come se guardassi al giovanotto che ero, con gli occhi di un uomo che vuole viverla ancora un’ultima volta.
Mio si sveglia per bere dell’acqua e mi scopre alle 4 ancora alzato che guardo i cartoni. Lei é giapponese e quella serie la conosce come gli italiani conosco il campionato di calcio. Si siede con me e, per un attimo, mi sento meglio. Basta la sua presenza a spezzare quello stato mentale che mi rendeva malinconico.
Le chiedo traduzioni istantanee, ma poi anche lei é stanca e ritorna a letto. E vorrei dirle di rimanere per aiutarmi a superare la serata senza danni emotivi. Ma come lo spieghi tutti il discorso che ho fatto ad una persona che ti conosce da pochi giorni?
Finisce la serie e io mi sento così irrequieto che non riesco a pensare di andare a letto. Rifocalizzo andando a cercare video di Fabrizio Meoni e per la prima volta scopro le sue grandi imprese.
Farò anche io la Parigi Dakar, mi dico.
Poi sorrido perché riconosco il tono con cui l’ho detto e non é il tono con cui mi decisi a fare il giro del mondo, ma é il tono con cui mi promettevo di fare chissà che cosa quando, a 15 anni, nella mia stanza chiusa a chiave, potevo decidere di voler fare qualunque cosa e, il giorno dopo, cambiare idea senza che la cosa mi toccasse minimamente.
Dormo fino all’inverosimile. Mauro é a letto malato. Mio é in casa. Io riprendo il mio lavoro in cerca del giubbotto. Ho ricevuto mail di risposta alle mie richieste.
Niente.
Il giubbotto non si trova. Decido di mettere da parte l’orgoglio e di chiedere a Clover se può aiutarmi. Mi rispondono chiedendomi di spiegare la situazione e così si accende un mortificato senso di speranza.
Sono in contatto con MisterHelmet.com che mi ricorda di scrivere un articolo.
Mi metto a lavorarci durante la serata, visto che nel pomeriggio io e Mauro (ancora malato) giochiamo a fare i bambini camminando a piedi nudi nel letto fangoso di un fiume ed arrampicandoci a 50 metri di altezza su un albero gigantesco.
Mentre siedo sul ramo più alto con lui, sorrido notando il senso poco familiare che l’altezza e l’oscillare dell’albero mi danno.
“Non sono più abituato a ‘ste cose”, dico a Mauro. E mi torna subito in mente quella sensazione di malinconia. Rivedo i miei pomeriggi con Michele nella fora, in cerca dell’albero perfetto su cui costruire l’ennesima casa o fortino.
Mauro parla e mi sforzo di ascoltarlo per non lasciare i miei ricordi prendere il sopravvento. Parliamo di amore e relazioni sentimentali. Ma nella macchia più in basso, fra una frase di Mauro e l’altra, io rivedo i capelli biondo albino di Michele e quelli miei mori che lo seguono nel bosco, mentre parliamo di gavettoni, cerbottane e trappole per gli intrusi.
Vuoto…..
Scendiamo dall’albero e mi sento meglio. Come se le vertigini e la paura che provavo in cima all’albero, in realtà fossero dovuto al senso di disequilibrio che si prova ogni qual volta ci si affaccia sul proprio passato.
Quel passato troppo distante per poterlo raggiungere senza compromettere quello che si é e si ha adesso.
Vado a letto dopo aver scritto l’articolo per MisterHelmet e, aiutandomi con il mio sarcasmo, mi sento un meglio nel credere che quello che sono adesso, se non altro, piace anche ad altre persone e non soltanto a me.