10 Agosto 2012
Ci siamo, finalmente.
Faccio pressione perfino alla proprietaria dell’ostello per avere una colazione servita alle prime ore del mattino.
Ma dove dovete andare alle 6 e mezza?
Rurrenabaque
Ma Rurre sta ad almeno 3 giorni da qui!
Esatto
In realtà io voglio avere tutto il tempo di vedere i posti che non vedo da 3 anni e mostrare ad Ylenia quegli angoli di paradiso di cui le ho parlato.
Lasciamo la piazza di Sorata con il serbatoio pieno e andiamo in direzione di Tocacoma, con le vibrazioni del paramotore in alluminio che riecheggia fra la valle in mezzo alle montagne. La temperatura è ancora bassa, 4 gradi, ma il sole è sorto da poco e fra qualche minuti, spero, farà più caldo.
Invece non fa caldo per niente, i km di altitudine sono ancora tanti e, mio malgrado, il sole sorge ma sta dall’altra parte della montagna, nascondendoci dai suoi raggi rigeneranti.
Ylenia scatta foto, anche con la mia insistenza visto che mentre guido non ne ho mai potute fare abbastanza. Si intravedono i camini delle ultime case che fumacchiano, i primi contadini che escono dalle stalle e stalattiti di ghiaccio nei punti in cui dei piccoli corsi d’acqua attraversano il sentiero.
Questo posto è semplicemente spettacolare. Sarebbe bello rifare un tour con i miei lettori, senza scopo di lucro, e portarli qui. E’ davvero un paradiso terrestre.
Fatto sto che, fra una foto ed un brivido, arriviamo in un punto in cui c’è una casupola e della gente seduta fuori. Un ragazzino azzarda una mossa che non mi piace: afferra una pietra ed appena gli diamo le spalle sta per tirarcela contro, lo medo dallo specchietto ed inchiodo, puntandogli gli occhi addosso.
HEY! Ce la stavi per tirare addosso o che?
Emm… no no la stavo tirando laggiù – mente
Ed è proprio in quel momento che, un po’ scocciato, tiro a dritto senza rendermi conto che è proprio prima di quella casupola che devo svoltare in direzione Tocacoma.
Continuiamo a salire e comincia ad avere la sensazione di non conoscere la strada e mentre dentro mi preoccupo un po’ di star perdendo tempo importante (visto che non so nemmeno se ritorneremo sulla strada giusta più avanti) dentro mi rendo conto che sto posto nuovo dove ci siamo infilati è la fine del mondo.
Normalmente metto un video solo per giorno, ma qui ne meritavano due, guardate che spettacolo di strada sterrata a 4800 metri
I km seguono uno più bello dell’altro ma anche tanta bellezza finisce per causare una domanda abbastanza ovvia:
Dove cazzo siamo ora?
Così avanziamo in cerca di gente a cui chiedere, ma a questa altitudine ed in questo angolo di niente non c’è veramente nessuno. Andiamo piano e parliamo del più e del meno, tirando sospiri di sollievo ogni qual volta la strada scende in picchiata e preoccupandoci ancora di più quando risale. Poi alla fine vediamo in lontananza qualche macchina di escavazione, delle auto e qualche tetto.
Arriviamo in una piazza dove c’è un operaio estremamente gentile che ci dice che l’abbiamo presa un po’ più larga però da quella parte ritorneremo a Tocacoma in un’oretta, passando da dietro. Ci facciamo avanti con un paio di biscotti appena comprati ed arriviamo a Tocacoma con un’ora di ritardo (o forse due) rispetto all’orario previsto, ma adesso il problema non è il tempo bensì l’infezione stomacale di Ylenia che è passata da qualche altra parte.
Se non puoi continuare Yle, torniamo a La Paz, non farti problemi
Ma questa donna, che ovviamente mi si addice non solo per lo spirito avventuriero, è testarda al punto da ingoiarsi un altro antibiotico e mi dice di continuare. Detto questo lasciamo Tocacoma cada uno dentro ai propri caschi, chiedendo un po’ in giro se la strada che stiamo seguendo arriva a Santa Rosa, dove siamo diretti. C’è chi ci vuole mandare nella direzione giusta e chi ci vuole confondere, ma alla fine fra un giro pesca e l’altro mi ritrovo su una strada familiare che sembra quella giusta.
Meno male…
La strada sale e poi scende e poi ci sono quei guadi che nel 2009 avevo già registrato con la video camera e poi ci sono i villaggi e poi ancora anche salite e discese e pietre e polvere e guadi e villaggi e gente che ti guarda come fossi un alieno e dietro di me Ylenia soffre un po’ per i salti della moto ma tutto sommato questa cosa la stiamo facendo assieme.
Ci sono punti in cui ho delle storie da raccontare ed allora ci solleviamo la visiera del casco, diminuisco i giri del motore e racconto ad Ylenia di quel giorno in cui passavo di lì, senza poter stare con la testa fra le nuvole, bensì catturato da tutto quello che avevo attorno a me.
E come tre anni prima anche questa volta arrivo con gli stivali fradici a Consata, togliendoli e mettendoli ad asciugare al sole come feci durante quel Luglio. E mi sembra una generosa casualità, perché era proprio lì che volevo fermarmi.
Però strano, ora che ci penso, che uno dei ter tubicini che sporgono dal cavalletto centrale della moto, se a contatto con l’acqua causino al motore di spegnersi. Devo fissare il tubicino più lungo alla staffa delle borse con una fascetta per evitare che entri in tutte le pozzanghere e mi si spenga ogni volta la moto.
E le racconto delle persone conosciute a pranzo a Consata, le stesse persone che cerco adesso, ma che non sono nel ristorantino che da sulla strada. Devo avere sul viso un’espressione di gioia immensa mentre Ylenia ride e capisce che questi posti, benché sconosciuti e lontani, significhino davvero qualcosa per me.
La strada in alcuni punti è pure franata per la pioggia ed i bordi sono scivolosi e motosi, con getti d’acqua prorompenti che dividono la strada in una forma scomoda per una due ruote. Dico ad Ylenia di arreggersi bene e preso il respiro mi lancio verso l’altra sponda della mota e ci arriviamo tutti d’un pezzo.
Ci sono gli operai, i pochi veicoli che vanno da un paesello all’altro e ci sono i campi da calcetto in cui ho giocato con i bimbi.
Ci sono gli alberi tropicali verdi come lo smeraldo che tagliano la linea terrosa del sentiero con il colore cristallino del cielo la in alto.
E dentro al mio casco il sorriso si fa sempre più grande ed i commenti ad ogni cosa che passa si fanno sempre più frequenti, mentre Ylenia dice che “si”, “davvero?”, “bello” etc etc.
Il sole sta quasi per calare ed il ritmo è stato talmente intenso che adesso non vogliamo altro se non arrivare e riposare un attimo.
Ylenia, nella scomodità della sua posizione, deve anche sopportare gli spigoli delle borse che toccano continuamente sulle sue gambe facendole un grosso livido viola. Potrebbe dire “fermati un attimo” o “mi voglio riposare” ma non lo fa e questo mi rende felice e le fa onore.
E’ un osso dure proprio come me, forse con più cervello e meno impulsività.
Arriviamo a Mapiri a pochi minuti dal tramonto e mentre lascio Ylenia nella stanza dell’ostello in cui avevo passato la notte tre anni fa, vado da un saldatore a fare riparare un paio di cose, fra cui il paramotore in alluminio che con le sue vibrazioni mi sta rovinando un po’ la festa.
Poi è finalmente il momento di farsi una doccia fredda, come ai vecchi tempi, mettersi l’anti zanzare ed uscire nel caldo della notte boliviana, nella selva, nella giungla e rivedere quelle strade, riassaporare quel pollo fritto al riso e camminare abbracciati con in mano un succo di frutta freschissima, prima di coricarsi.