11 Agosto 2012
Siamo provati, ma siamo elettrizzati. Siamo lontani da casa ma siamo vicini a Rurrenabaque.
La novità che Ylenia respira in cada secondo si mischia alla meraviglia di quella rivisitazione che sto provando in silenzio, dentro di me. Insisto per fare colazione nello stesso posto in cui lo feci nel 2009 e mentre ci servono riso bianco con uomo fritto, riconosco fra i presenti il proprietario che anni prima si era seduto garbatamente alla mia tavola per chiedermi da dove venisse una moto così grande.
Gli chiediamo se è possibile arrivare a Rurre via fiume, su un battello che ci porti lì per stanotte. Il prezzo è altissimo per cui speriamo che avvicinandoci a Guanay.
La strada sale e scende come me la ricordavo, però l’ora giovane con cui siamo partiti tradisce un poco il ricordo afoso e sudato che ho di quella mattina alle 11, in cui percorsi questa stessa strada con lo sguardo al in su.
I villaggi dopo Mapiri si susseguono con una certa frequenza, rendendo queste centinaia di km più folcloristici di quelli del giorno precedente, forse più remoti ed isolati. Vilaque Grande, Puente Dinamarca ed intanto fra una curva e l’altra spuntano quei guadi che sapevo avrei trovato proprio lì ad aspettarmi. Spiego con un certo eccitamento ad Ylenia i passi a seguire ed è piacevole vedere che anche una signorina come lei si mette nell’acqua fino alle caviglie uscendone mezza senza farne la fine del mondo.
Piazzo la telecamera sul tre piedi dall’altro lato del fiume e Ylenia scatta foto con la sua canon ed ecco che faccio il primo guado a piedi bassi, facendomi strada fra gli enormi pietroni.
E che libidine gente, sentire l’acqua fresca che ti entra fra le dita dei piedi mentre il sudore sotto la tuta moto ti fa sentire una sardina puzzolente dentro ad un cellofan.
Ci rimettiamo in sella pieni di entusiasmo, forse un po’ più bagnati ma non certamente scomodi.
So che più avanti c’è il guado più difficili perchè la corrente è forte e l’acqua profonda però non abbiamo fretta di scendere dalla moto per cui ci facciamo strada fra i piccoli villaggi che seguono scattando foto e parlando un po’ con chi svolge le proprie attività per strada, fra una messa, una partita di calcio e conversazioni lontane anni luce da quelle che ci scambiamo noi oggi.
Chissà forse invece di parlare di Facebook, qui si parla di patate nell’orto ed invece di parlare dell’ultima applicazione dell’Iphone qui si parla dell’ultima volta che ha piovuto e che il raccolto sta seccando. Non so…
Arrivati finalmente a Puente Dinamarca si apre davanti a noi il fiume ed è considerevole il flusso d’acqua che ci separa dalla continuazione del nostro viaggio. Dico ad Ylenia che dobbiamo attraversare a piedi di nuovo per farci strada, piazzare la telecamera e poi farla in moto. Solo che questa volta insisto affinché lei rimanga seduta in sella con me.
Ylenia non è fanatica di ste cose ed obietta però insisto abbastanza per convincerla celando che in realtà quello che si vede non è poi così terribile. Arriveremo dall’altra parte del fiume senza problemi e lei avrà una grande scossa adrenalinica da ricordare.
Sediamo in sella e – ok ok lo ammetto, faccio un po’ l’esagerato dicendole “è stato bello conoscerti” e tutte quelle cagate lì – e quando ingrano la prima entriamo in acqua e ci facciamo spazio fra la corrente fortissima, le pietre, la profondità ed il guado sembra durare più del solito.
Una volta dall’altra sponda ci sono un paio di contadini che se la ridono ed Ylenia che mi guarda con oggi terrificati. Probabilmente dentro la sua testa mi sta mandando a cagare in mille lingue diverse, ma che vuoi farci, il suo ragazzo è un fuori di testa.
Sono appena le 10 del mattino, abbiamo i piedi fradici e non sappiamo ancora a che distanza siamo da Guanay però tenteremo di prendere un battello fino a Rurre per evitare tutte quelle pietre e la polvere che dopo il secondo giorno sta rendendo questa maratona fino a Rurre un stancante corsa senza fine.
La strada ovviamente sale e scende per poi avvicinarsi a valle e risalire di nuovo. Il clima sembra farsi più caldo ad ogni curva e mentre il sentiero si fa a tratti più stretto ed altri più ripido comincio a cercare in lontananza Guanay che dovrebbe risiedere ai margini nel fiume in una chiazza verde fra le montagne.
Che spettacolo sto posto. Non posso credere risulti così bello ai miei occhi nonostante io ci sia già stato.
Con una certa impazienza atterriamo a Guanay scendendo la ripida discesa terrosa, ci presentiamo a quello che dovrebbe essere il porto, chiediamo in giro ed i prezzi sono disumani. Con una bibita fresca nella gola e dopo qualche minuto di indecisione propongo di continuare verso Caranavi e dimenticare la scorciatoia via barca.
La strada da lì in poi è una merda. Ci sono veicoli da tutte le parti e nessuno vuole farsi sorpassare perché costretto a mangiare la polvere di quello davanti, figuriamoci da una maledetta moto con due “turisti” sopra.
Mi destreggio fra le curve quanto posso e faccio sorpassi azzardati, un po’ accecato dalla polvere delle auto che sorpasso e non certo incoraggiato ad accelerare alla cieca con la possibilità che mi venga addosso un camion che non vedo.
Questa parte del giorno è frustrante, lunga e stancante e ci fa arrivare a Caranavi immersi nel silenzio, morti di fame e con la faccia completamente ricoperta di polvere, come si vede nella foto al lato.
Però l’ottimismo non manca per cui continuiamo imperterriti dopo un pranzo buonissimo, gli incoraggiamenti del proprietario che ci chiama persone eroiche e dopo un pieno benzina che speriamo sia l’ultimo del giorno.
La nostra destinazione è Rurre anche se sappiamo bene che non sta esattamente dietro l’angolo.
Sappiamo talmente bene che ci manca ancora un bel po’ di strada che prendiamo sto ultimo tratto con una certa volontà di concluderlo e partiamo in tromba lasciando Caranavi alle nostre spalle. Non appena ritornati sulla strada principale, nuovamente sterrata notiamo una fila interminabile di veicoli ed una sbarra che blocca il cammino.
Stanno facendo delle esplosioni più avanti, per costruire la nuova strada asfaltata
E non possiamo passare nemmeno in moto, da un lato?
No, sarebbe pericoloso, abbiate 15 minuti di pazienza e apriamo
I 15 minuti diventano 25 ma si riesce a passare. Devo fare quasi a pedate con due auto rimaste dietro di me che approfittano del via libera per mettersi davanti a noi ma con i 10000000 cavalli di potenza di questa Transalp rimango davanti e credo che ho Ylenia dietro di me che furiosa saluta il pilota con il dito medio alzato (non è da lei).
Siamo di nuovo in velocità fra una curva di sabbia, un tornante, una discesa e fra noi si aprono vallate e poi montagne e poi si vede il verde rigoglioso delle vette che ricordo circondavano Rurre durante le mie giornate là.
Voglio arrivare cazzo, non ce la faccio più!
Passano due ore e sono le 18, il sole è ancora alto ma fra pochi minuti saremo nella penombra. Non siamo nemmeno arrivati a Yucumo dove mi sarei sentito finalmente vicino alla destinazione e ad ogni curva la strada si fa meno visibile e l’affanno di arrivare arrivare diminuisce.
Abbiamo fame siamo stanchi e forse è meglio accampare da qualche parte ed arrivare l’indomani, alle prime ore del mattino.
Ci fermiamo in una tranca, mentre la strada lungo il profilo della montagna scende rapidamente e troviamo la strada asfaltata di un piccolo villaggio con la gente che tipicamente cammina nel mezzo nella completa oscurità e non si capisce cosa si ha intorno.
Fermo la moto per parlare con un passante e finiamo per essere inviatati nel campetto di calcio vicino casa di suo nonno per mettere la tenda. Al seguirlo ho dei problemi a mettere in moto la moto che sembra avere la batteria scarica, ma con un paio di spinte riesco ad arrivare a destinazione.
Ma come la batteria scarica?
Dimentico il problema fra i dolori allo stomaco per la fame, l’affanno di trovare un posto per la notte, le strette di mano con il passante e suo nonno e la scoperta che facciamo al di là della piccola discesa che ci porta fino al campetto da calcio.
Il signore ha una casona di legno e dietro di lei qualche baracca con doccia, bagno, stanza degli attrezzi e riparo per la legna tagliata. L’erba tutta attorno è grossa e ben tagliata e sembra un letto perfetto per camminare scalzi e montare la tenda.
Ringrazio per l’ospitalità e sono più contento di un bambino. MI sembra di aver trovare un negozio di balocchi.
Quando i proprietari se ne vanno metto su la torcia e vado a sbirciare un po’ cosa ho attorno trovandomi davanti ad un banco di lavoro con una moto sega, le catene di ricambio, l’olio motore usate per oliarle, filo per i panni, degli alberi da frutto e c’è pure un cavallo che ci osserva in silenzio oltre gli alberi.
Per quanto modesto e improvvisato, questo posto è una gran figata e con una doccia fredda rigenerante ci sediamo sull’ebra a prepararci una zuppa prima di andare a dormire.
Siamo contenti.
Questo ritorno alla semplicità è un toccasana per i nostri occhi rossi di polvere ed i culi dolenti che abbiamo.
La zuppa è la più buona del mondo, il sussurrare stanco delle nostre voci prive di sottofondi di motore è la musica più dolce ed il rimbombare della notte e di tutte le specie animali che riempiono il chaco è un elisir che mi riporta indietro nel tempo.
Un bacio della buona notte.
Domani arriviamo a Rurre, cazzo!