9 Agosto 2012
E così il grande giorno è arrivato.
Lasciamo il Perù per entrare in Bolivia e ripercorrere di nuovo e assieme quei chilometri che mi hanno cambiato la vita. Quei sentieri prima asfaltati, poi polverosi, poi motosi che ho percorso nel 2009 senza sapere che oltre quell’ennesima avventura, si sarebbe aperto un capitolo nuovo della mia vita, con i suoi drammatici imprevisti e le sue eclatanti soddisfazioni.
Quello era il periodo più intenso del mio viaggio, il periodo in cui mi sono sentito più creativo, più prolifico, più attivo ed anche quello dove tutto quello che facevo generava i km a seguire, grazie al dedicato lavoro online su partireper, le moto riviste ed i generosi riconoscimenti che ricevevo mensualmente per fare di questa esperienza un’avventura autofinanziata.
Bei ricordi quelli del 2009 ed è bello anche poter tornare qui a testa alta dopo aver fatto fronte alla vita nel suo stato puro e la parte più difficile di essa, per dire che la sfida con me stesso l’ho vinta io, non lei!
Nonostante….
Ma si sa, le premesse valgono specialmente nel momento in cui uno le scrive ed oggi che scrivo questo post del 9 Agosto 2012 è in realtà il 21 Novembre 2012, momento in cui ho già tutte le idee più chiare, ma non certamente una previsione del futuro certa e prevedibile. Per cui mi attengo ai fatti e vi racconto questo giorno.
Ci svegliamo di buon umore circondati da italiani che nella sala ristorante fanno colazione sorseggiando conversazioni politiche tipiche delle nostre tavole. Converso con Ylenia dei motivi per i quali sono sempre circondato da connazionali anche nei posto più lontani dal mondo e la cameriere dice che l’hotel è convenzionato con un tour operator italiano che manda lì tutti i turisti in visita al Lago Titicaca e le Isole Uru.
La felpa partireper che indosso e la maglietta partireper che indossa Ylenia chiamano piuttosto l’attenzione a chi ascolta l’amico disquisire sul governo italiano e non può fare a meno di fissare le frasi italiani stampate sul nostro abbigliamento.
Partire per viaggiano, non per arrivare… – penseranno – chissà che tour operator è?
Il più bel viaggio è quello che ci conduce verso noi stessi – scandiscono – profondo sto tour operator!
Ce ne andiamo pagando il conto e con il sorriso sulle labbra. La moto è con i livelli olio ok e siamo già vestiti. Il cielo è pulito e solo a pochi km dal centro di Puno ritorneremo nella bella campagna peruviana per poi costeggiare il Lago Titicaca fino alla dogana con la Bolivia, per poi salpare in zattera verso la costa che porta a La Paz.
Ma non è lì che siamo diretti…
Sono ansioso di tornare sul cammino della morte (o meglio, il cammino dell’oro), ma non ho fretta e quando possiamo ci fermiamo a fare due foto ed ad ammirare la bellezza del Lago, in un angolo in cui non si vede cosa sia diventato oggi giorno: una discarica.
E’ terapeutico pensare che le cose belle di oggi siano state anche più belle prima, quando esistevano perché la natura ce le aveva messe e non perché muovevano l’economia di una intera ragione di un paese. Se questo lago è mistico ed anomalo, se le sue origini sono sconosciute e le sue proprietà speciali, perché oggi è soltanto un centro di ritrovo per chi paga per andarlo a vedere?
A volte le domande che mi faccio sulle cose mi assillano al punto da farmi venir voglia di andarmene da un’altra parte, dove non ci sono cose da sapere, domande da farsi e dove la bellezza incontaminata di quello che ho davanti non è deturpata da nient’altro che dal mio passaggio.
Un poco eremitico ed ipocrita se ci pensi bene, perché io in questi luoghi silenziosi e fra le alte vette desolate dell’Altipiano ci passo facendo un baccano della madonna, con la mia moto che spruzza contaminazione da tutti i pori…
Procediamo bene fino ad arrivare alla dogana e per non so quale motivo io ed Ylenia siamo un po’ alterati, quasi incazzati. Mi sembra di ricordare che durante una sosta bagno mi sono ricordato della cioccolata che si è mangiata ieri nonostante il mal di pancia e adesso sono lì che penso che se questa malattia non passa, il viaggio sarà spiacevole per entrambi. Ma tra una fila ed un timbro ed un momento di distrazione torniamo sereni e lasciamo alle nostre spalle il Perù per andare a fare la stessa fila e timbri a 100 metri, nella dogana Boliviana. Questa frontiera è normalmente piena zeppa di gente, ma questa volta non c’è quasi nessuno. Io poi sono ansioso di attaccare i miei adesivi da tutte le parti e con quelli che regalo agli ufficiali già mi avvantaggio con i fogli da firmare.
Passa nemmeno una ora e mentre noi siamo già pronti ad andarcene la coppia che era davanti a noi è ancora lì nello stesso ufficio che piange perché sono in ritardo con il permesso di entrata. Lei sembra parlare francese, ma lui è cileno e questo gli causerà non pochi problemi con gli “amici” limitrofi boliviani.
Arriviamo a Copacabana che, ad ogni tour che ho fatto per lavoro, mi è sempre apparsa bella e interessante, ma il fatto è che non ci era mai entrato dentro. Propongo ad Ylenia di farci un giro e dopo l’ennesimo tentativo di farmi strada tra una fila di van piena di stranieri e carovane di turisti che occupano la strada trasformandola in una affollatissima babele moderna, guardo Ylenia in faccia e propongo di andarcene per ritornare sulla strada, dove ci sono solo curve e discese e salite e alberi e montagne innevate in vista.
Siamo vicini alla costa del Lago Titicaca, ma decidiamo di mettere qualcosa di solido nello stomaco prima di attraversare. I pasti non sono mai buoni come si vorrebbe e lo stomaco non migliora mai nonostante ci si cerchi di alimentare con cose basiche e sciocche, ma tutto sommato sono passati solo pochi giorni e possiamo ancora ritenerci fortunati perché possiamo avanzare senza starcene sdraiati in un letto, moribondi.
L’attraversamento in zattera avviene rapidamente ma togliere la moto a pieno carico, in retro marcia e salita dalla zattera al molo mi fa cadere in una fossa.
La strada sarà ancora asfaltata per un bel pezzo per cui acceleriamo un po’ il passo e facciamo breccia ad Achacachi per cambiare qualche dollaro, prima di discendere nuovamente l’Altipiano ed arrivare a Sorata, dove vogliamo passare la notte. Pensavamo di arrivare almeno a Tocacoma però non è una buona idea guidare in due, di notte, sullo sterrato del cammino della morte, specialmente considerando che potrebbe fare molto freddo!
Sono da poco le 16 ed il sole è ancora alto e caldo, ma ad ogni curva la linea a punta dell’orizzonte fa sparire il sole dietro le vette più alte di questa regione, che entra in contrasto con il celo azzurro solo con il bianco della neve delle punte più alte.
Ricordo tutto di questo posto, perché ricordo l’iride umida e sensibile del mio cuore in quei giorni del 2009 in cui tutto questo mi apparve bello ed inspiegabile. E come l’occhio sensibile alla luce, così il mio cuore soffriva e gioiva allo stesso tempo, vinto da così tanto splendore e ammaliato da tutta la bellezza che si respirava quassù.
E poi c’era quella vetta, quella curva, quelle montagne innevate dietro di me ed il panorama di una strada tortuosissima e senza fine, che scendeva e scendeva e scendeva e sembrava arrivare fino all’oceano dal tanto che scendeva. Invece sarebbe arrivata fino alla selva,la giungla, il fiume, i guadi ed io avrei ritrovato l’entusiasmo per le cose belle che volevo vedere dal giorno della mia partenza e che, dopo la Patagonia non riuscivo a trovare più.
Un toccasana, ecco cos’era stato. Un miracolo naturale che mi aveva fatto rinascere, aveva riportato alle stesse quel mio entusiasmo folle che nel passato aveva generato iniziative così audaci e belle come questo lungo viaggio.
Così stringo il ginocchio di Ylenia, mentre lei ammira e non sa, mentre io taccio e grido di gioia dentro e comincia a scendere la strada guardandomi attorno. Scoprendo che le montagne sono ancora lì dove le avevo lasciate, assaporando curva dopo curva prevedendo l’arrivo di questo e l’altro tornate. Meraviglandomi che, nonostante gli anni passati ed i mille e mille km e mille e mille giorni passati, quel ricordo che mi fa sorridere rimane ancora vivido dentro la mia mente ed il cuore.
E poi finalmente lo sterrato, i villaggi dall’altro lato della montagna, quella stazione di benzina, la piazza. E siamo a Sorata.
Rimaniamo qui stasera
Ma non avevi detto che volevi arrivare fino a Tocacoma?
Si, ma rimaniamo qui dai
Ma c’è ancora luce, ce la facciamo
Sorata è un bel posto, rimaniamo
Così troviamo una stanza per pochi euro, ci facciamo la doccia, sistemo la moto per l’indomani e camminiamo come una vera coppia fino in centro che è privo di turisti e pieno di gente del posto. Entriamo in uno dei tanti ristorantini ed è bello vedere che il ritmo rilassato del villaggio è più importante del nostro appetito. Entro in cucina a cercare la cameriera e faccio il mio ordine in piedi, con la testa dentro la cucina.
Ci sediamo con un succo naturale in mano. L’aria è calda e le nostre membra sono stanche. I nostri stomachi sono più tranquilli e la pizza “italiana “ che ci servono è squisita.
Poi entra un ragazzo americano che parla spagnolo e dopo pochi minuti siamo seduti tutti assieme al nostro tavolo. E lui è mezzo italiano e parla con un accento del nord. Ed è volontario e vivrà lì ancora per un po’ e dentro dime rivivo l’esperienza in Rurrenabaque con Familia Feliz e sento che questo posto magico chiamato Bolivia è destinato ad ammaliare anche lui e farlo innamorare e poi cadere e farlo suo, finché vibrerà e piangerà e scapperà per la troppa vita e ne sarà legato per sempre.
Come me