13 Dicembre 2008
Pablito mi da il buon giorno, si prepara e mi saluta, avviandosi fuori casa con Jess.
Poi ci ripensa e mi chiede di seguirlo a Quilmes, per incontrarsi con gli amici e vedere la partita di calcio.
Io sono qui già da due giorni e non ho messo un piede fuori casa. Fremo dalla voglia di vedere cosa abbia in serbo Buenos Aires e così accetto.
Il lungo viaggio in autobus che ci porta a Quilmes mi incollo al finestrino come amo tanto fare. Amo il viaggio in solitario perché durante lo scorrere del paesaggio mi é dato modo di osservare ciò che mi circonda ed assaporarlo a grandi occhiate.
Jess e Pablito cercano di intrattenermi con conversazioni piacevoli sul nome dei centri abitati che attraversiamo ed i rispettivi club calcistici appartenenti ad ogni quartiere.
Purtroppo detesto il calcio e non trovo gli appunti raccontatimi di alcun interesse, ma continuo a guardare fuori dal finestrino catturato da qualcosa che mi attanaglia. Una sensazione che mi vince e mi rende irrequieto.
Un’ora e mezzo di bus, con un cambio a Lanus, dove passeggiamo nella stazione centrale e rincorriamo un autobus sotto il sole dell 15.
Chiedo a Pablito se questa sia la zona periferica e se sia anche la zona più povera.
Sembra di no.
L’ambiente di città, di una città come Buenos Aires, mi mette l’angoscia. Vedo strade contaminate dall’immondizia urbana e case soffocate l’una dall’altra adagiate su marciapiedi spogli e sgretolati.
Alle porte, alle finestre e in tutta la città, sia nella parte facoltosa che non, si ergono enormi sbarre di protezione. Le finestre sono tutte sbarrate e le porte di ingresso hanno accesso solo tramite un cancello sempre chiuso.
Con violenza e frustrazione comincio a chiedermi come la gente possa aver anche per un solo momento lasciato la campagnia per venire a vivere in città.
Come si può accettare questo compromesso? Vivere così é come vivere in prigione.
Le strade sono un caos e l’ammasso di gente che la abita rendono la quotidianità urbana un inferno per il quale niente mi dissuaderebbe dallo scegliere la città per la serena campagnia.
Anche nella casa dove vivo c’é un cancello e visto che non ho le chiavi e sono spesso solo in casa, non mi é possibile organizzarmi per lasciare la casa per avventurarmi.
Lo faccio adesso, in compagnia di Pablo che amichevolmente si offre di portarmi con sé ed intrattenermi facendomi vedere lo stadio in cui gioca la sua squadra del cuore e presentandomi i suoi migliori amici.
Io sono di poche parole, come del resto sono quando contemplo un luogo nuovo in cui arrivo.
Le strade diventano più grandi e polverose. Siamo nella zona industriale che precede la città di Quilmes.
Scorgo cani randagi spuntare fra enormi cumuli di detriti e mattoni e persone che abitano nelle Villa, l’equivalente delle Favelas brasiliane.
Chiedo a Pablito quanti milioni di abitanti ci siano in Buenos Aires, ma non lo sa di preciso. In compenso sa tutti i nomi degli stadi calcistici che appaiono in vista durante la tratta in bus ed anche il nome delle squadre che ci giocano.
Io rido e quando mi chiede quale squadra italiana io tifi o quale squadra presieda nello stadio della mia città, rido sarcastico e gli dico che non lo so e non mi interessa saperlo…
Lui sorride di rimando, mi punta con il dito un altro stadio e me lo nomina.
Gli amici di Pablito sono allo stadio che ci aspettano. E’ una partita di serie B e non ci sono molte persone. In compenso ci sono alcune amiche di lui, con cui mi cimento nelle solite scenette da marpione cui sono solito.
Con Celeste, la ragazza con cui faccio il cascamorto, nasce un certo gioco di sguardi. Dopo la partita ed ore passate ad ascoltare i ragazza ridiscutere della stessa dietro al parcheggio dello stadio, molesto Celeste con qualche abbraccio e bacio e ci scambiamo i numeri.
Se fossi in Nuova Zelanda o in qualunque altro paese in cui ho una casa in cui vivere, partirebbe subito l’invito a cena da me, ma adesso sono di nuovo in viaggio e devo affidarmi alla casualità degli eventi.
Usciamo dallo stadio per la cena verso le 22.
E’ il fine settimana ed i programmi sono bere, fare nottata fuori e non andare a dormire.
Vediamo se riesco ancora a reggere questo stile di vita?
Più che per una questione d’età, per me é una questione di meno interesse.
Per cena, a casa di Pablito in compagnia di tutti gli altri amici, mangiano Milanes, una roba che mi fa piangere, tanto é buona.
Io sarei anche pronto per andare a letto, ma l’idea é quella di cazzeggiare fino alle 1 del mattino e poi uscire.
Sfrutto di un momento di disattenzione di Pablito che gioca alla Playstation (gioco del calcio, notare…) e mi vado a coricare nel letto della madre.
Quando mi alzo é l’ora di andare.