Qualcuno deve avermi maledetto, perché ho dormito male anche questa notte, nonostante giacessi su un materasso, in una stanza con riscaldamento.
Mi rigiro nel letto al buio, pensando e ripensando a non so cosa. Ho freddo ai piedi e poi alla schiena. Alla fine, mi addormento e mi risveglio ottanta volte.
Sono il primo a scendere dal letto, al filtrare delle prime luci del sole dalla finestra chiusa della stanza.
Paco, il carabiniere esce dalla sua stanza in mutande e mi da il buongiorno pestando la pipì che Gayser ha fatto sul pavimento pochi minuti prima.
Gayser!!!!!!!!!!!!!!!!! – lo afferra per una zampa, lo avvicina alla pipì e lo colpisce una volta per fargli capire che così non si fa
Ben fatto – dico io, quando ci vuole ci vuole
Si si, lui lo sa, ma piscia a destra e manca per richiedere l’attenzione del padrone
L’orario di apertura della Dogana è dalle 9 di mattina alle 19. Sembra però che il ritmo di questi ufficiali sia più che rilassato, visto che in inverno non si contano più di 5-7 transiti al giorno.
Per lo più i ragazzi passano il tempo nelle proprie abitazioni facendo colazione o guardando la tv, oppure nella dogana giocando a ping pong.
Un lavoro che deve causare gravi problemi di demotivazione… Dio me ne liberi.
Decido di indossare l’abbigliamento invernale e scopro che adesso nella borsa dove metto i vestiti, non c’ho praticamente niente. Ecco cosa mi frega a me, in questo viaggio.
A viaggiare tanto, uno ha che portarsi dietro le cose per ogni stagioni ed ecco che lo spazio diminuisce e le cose che si usano saltuariamente vanno occupando tutto lo spazio.
Adesso ho gilet termico, passa montagna, guanti termici, felpa, imbottitura termica giacca e pantalone. Sembro un omino della micheline. In più, monto di nuovo le moffole sul manubrio ed eccomi pronto per la traversata andina.
I ragazzi della dogana mi danno un avvertimento poco propizio, ma sincero in ogni caso.
Se vedi che di la non si passa, torna qua, che facciamo un Asado, ok?
E perché non dovrei passare?
Perché quella cosa bianca enorme che vedi là, è neve che cade…
Ah
Così ci salutiamo e mi lascio la dogana alle spalle. La mappa che mi porto dietro di questa area non è molto dettagliata, e ancora meno dettagliati sono i miei programmi. Noto però che a 60 km dalla frontiera, ancora sul lato cileno, parte un sentiero segnalato come “in costruzione” che raggiunge la vetta massimo della Cordigliera, in prossimità del Vulcano Ojo del Salado.
Si dice sia il vulcano più alto del mondo e sulla mappa, la strada arriva a 6801 metri sul livello del mare.
Perché no – penso tra me e me – In estate in diversi mi hanno detto di andarmi a vedere sto posto. Che differenza fa se adesso é inverno? I guantini termici ce li ho…
Così avanzo lungo i 111 Km di passo fronterizio e svolto a destra quando incontro il cartello Ojos del Salado. La strada, che fino a quel momento era una ampia e spianata striscia di sterrato polveroso, adesso diventa una linea di pneumatici che segnano una desolata distesa di superficie montana piana. In lontananza si vede un rifugio dal tetto azzurro.
Entro e scopro con mio grande piacere che è disabitato e che ci sono ancora provviste di cibo e legna da ardere per la notte. Ci sono inoltre materassi ed alcune accortezze che potrebbero rendere la mia sosta qui un vero momento meditativo.
Dei 7 transiti quotidiani del passo, pronostico un 0,00% di probabilità che qualcuno passi per l’Ojos del Salado o tanto meno in questo rifugio.
Così stacco le borse rigide posteriori ed armato della moto nuda e con la sola borsa serbatoio e sella, mi avvio nella direzione che indica un piccolo cartello rozzo ficcato nel suolo.
Atacama, 22 Km
Sono a 22 Km dalla vetta del Vulcano più alto del mondo, con una moto dotata di pneumatici da strada e con poca cognizione di quelle che sono le limitazioni ed i rischi cui vado a sottopormi se qualcosa va storto e rimango bloccato a questa altitudine d’inverno.
Però le considerazioni mature che scrivo adesso, sono certamente dovute al fatto di narrare una situazione passata, situazione in cui davanti a me ho l’illusione di poter raggiungere una vetta e raccontarlo al mondo e non mi proccupo di nient’altro.
L’ho fatto in Australia, l’ho fatto in Russia, lo posso fare ancora – penso tra me e me
A cosa mi riferisco, con questo “l’ho fatto” non lo so nemmeno io, ma la frase rigira e rigira nella mia mente, ed intanto la moto si fa strada lontano dal rifugio e, per assurdo, lontano da tutti.
Ci sono piccoli cumuli di neve che taglio con la moto in modo da capire cosa aspettarmi quando ne incontrerò di più grandi.
Con queste gomme, la neve non è niente di piacevole. Anche i mucchietti più piccoli e duri, fungono da pattino per la ruota anteriore, che devia in modo brusco e si riprende solo al contatto con la ghiaia. La ruota posteriore sembra non risentirne, almeno per adesso.
I primi problemi iniziano quando, già a 5000 mt, cado ripetute volte su le enormi distese di sabbia che separano i tratti del sentiero che sale e sale. Non si tratta di una strada e chiamarlo cammino sarebbe troppo azzardato. Quello su cui guido è un sentiero di cui sono ben delineati i bordi sabbiosi, forse tracciati da uno spala neve tanto tempo fa.
I fanatici che in estate arrivano qui con la 4 x 4, sono usciti da questa pista in più punti, rendendo il tutto un caotico intreccio di linee che si intrecciano ed a volte si perdono. La neve aumenta km dopo km e le mie cadute con lei. La sabbia a volte è così fitta da non permettermi alcuna manovra se non quella di infossarmi con la ruota posteriore.
Sono a 5200 mt, con il casco sul suolo che scavo fosse con i guanti in prossimità della ruota anteriore e sollevo la scomoda massa della moto con la forza delle gambe. E faccio tutto questo accusando una fatica mai provata prima.
Ogni movimento ordinario, diventa un’impresa.
Sollevo la moto, senza riuscire nella manovra di dissotterramento della ruota e mi abbandono ad una pausa di 5 minuti in cui respiro affannosamente in cerca di recuperare un po’ di ossigeno. Cado e ricado e ricado. A volte, in punti in cui non c’è sabbia, ci sono sassi.
E dove i sassi diventano troppo grandi, le mie braccia non hanno forza a sufficienza per tenermi in sella.
I cartelli rossi piantati ad ogni km l’uno dall’altro, dicono che mancano 12 km.
12 Km? Ma se sono qui da più di un’ora?!
Sopra i 5500 mt, la moto muore. Non salgo in prima, non salgo a spinta. Niente. Attorno a me ho solo terra, sabbia fina, pietre e neve, ma decido di arrivare fino in fondo e così stacco il filtro dell’aria, con le mani congelate e la testa che lavora ad una lentezza insolita.
Ho la testa appesantita, la schiena dolorante per le sollecitazioni cui la guida della moto mi sottopone ed anche una sete tremenda.
Senza filtro la moto respira e riacquisisce la potenza cui sono abituato. Spalanco il gas e spingo con le gambe fino a che la ruota non fa aderenza e aumenta di velocità. Vinto dal bisogno di non arenarmi un’altra volta e ricominciare di nuovo le operazioni di sollevamento della moto, mantengo una certa velocità, cercando la parte di sentiero che appare più pulita e sgombra da neve.
A volte però la neve è ovunque e sfidarla con la velocità e la massa della moto, non serve ad altro che a rimanere bloccati di nuovo. La neve poi ha una consistenza maledettamente variabile. Soffice all’impatto e dura alla compressione.
Ci entro dentro come fosse aria e per uscirci devo scavare con guanti. Sono a 6600 mt e continua a guardare avanti, abbagliato dalla vetta dell’Ojo e dalla foto che scatterò in cima a quel maledettissimo vulcano.
Adesso ogni operazione alla moto per togliermi dalla neve o dalla sabbia, mi costa dai 10 ai 15 minuti di riposo.
A 5.5 km dalla vetta appare un cartello che avvisa dell’esistenza di un secondo passaggio per la vetta.
Sinistra: 5.5 km mancanti. Passaggio chiuso con neve.
Destra: 5.5 km mancanti. Passaggio molto sassoso.
Non so perché ma vado a sinistra. La neve posso evitarla, se esco dalla traccia principale e non mi allontano troppo.
Così inizio la mia corsa verso gli ultimi 5 km e mezzo. Manca poco, mi ripeto e mentre mi ostino a guardare avanti, su quella vetta bianca che appare maestosa oltre tutta quella ostile sabbia, non mi rendo conto che dietro di me, sta arrivando la neve vera.
Il sole è ormai oscurato dalla nube bianca. Tutto quello che c’era dietro di me, i metri di sabbia in cui ho scavato ed i sassi che mi hanno fatto cadere, non ci sono più. Tutti divorati dalla massa inarrestabile della neve che fra poco chiuderà anche il mio passaggio.
Mi areno per un’ultima volta, e mentre riposo con il fiatone, la testa gonfia di sangue e la sete, guardo dietro di me e vedo la realtà dei fatti.
Mi trovo a 5700 mt, in sella alla mia moto arenata in mezzo alla neve, d’inverno e con la sola certezza di trovarmi in un luogo in cui nessuno oserebbe minimamente andare a farsi una passeggiata di questi giorni. Se non torno indietro prima che faccia buio, qui io ci muoio.
Così guardo la vetta e guarda la nube bianca farsi più vicina, con i primi fiocchi di neve che mi cadono sulla faccia. Chiudo la visiera del casco, monto in sella e mi prometto di tornare indietro alla prossima volta che mi areno.
Non ora, non adesso. Manca così poco.
Così la moto è ancora accesa, con la mano che tiene il gas al minimo e la mia gamba che pesantissima scavalca la sella e piomba dall’altro lato. Sono in sella, davanti a me gli ultimi 3 km ed è fatta
L’ultimo pezzo. L’ultimo.
Poi accade qualcosa che non capitava da tanto tempo. Qualcosa che oggi mi fa condividere questo aneddoto di persona, e non con qualche articolo di giornale cileno che annuncia la mia scomparsa e morte in cima ad un vulcano.
Accade che mi guardo attorno e sento di avere una paura tremenda. Sono un incosciente e se non faccio presto a tornare indietro, questa è l’ultima cosa che vedo in vita mia.
All’improvviso la meta ambita da tanto tempo perde di significato e quello che mi pervade é la necessità di sparire da dove sono e portarmi in salvo
“Fa 40 sotto zero in cima alla montagna” – mi aveva detto ieri il doganiere, riferendosi ai 4800 mt del Passo di San Francisco
Immaginarmi avvolto dalla notte, in mezzo a questo inferno gelido e silenzioso, con le mie mani che cercano invano un luogo caldo sotto ai miei indumenti congelati, mi da una sensazione di impotenza e sconforto tale da farmi venire i brividi.
Morire così, e perché?
Così viro la direzione della ruota posteriore e comincio a parlare alla moto come se l’altura mi avesse dato alla testa.
Ascolta, il sole sta per calare e se rimaniamo bloccati qui, io muoio. Lo capisci? Tu sei fatta di metallo, ma io no…
Torniamo indietro dai… Lentamente. Stiamo attenti ok? Brava così. Adesso c’é sabbia, non ti preoccupare. L’abbiamo fatto all’andata lo facciamo anche al ritorno. Piano, piano, tranquilla, non succede niente. Così, brava. Brava.
La cosa va avanti ed avanti fino a che uno dei cartelli rossi dice che al rifugio mancano 12 Km
12 km? Ma come cazzo!?!!!??!?! Dai bella dai, dobbiamo sbrigarci.
La fretta, la paura ed il tempo che avanza, non so come, mi rendono un fuoristradista provetto. Sfreccio sulla sabbia che prima mi ha ostacolato più volte, come fossi un campione della Dakar. Ovviamente cado, ma non mi infosso
Cado per le dune, cado per i sassi che sono proprio dove non dovrebbero e cosa per la stanchezza. Cado e la moto fra crack, e poi crock, e poi di nuovo crack. Pezzi colorati delle carene, ormai irrigiditi dal freddo, si spargono sulla neve.
Arrivo al rifugio appena in tempo per mangiare 4 zollette di zucchero, montare le valigie posteriori, mettere la benzina delle taniche laterali nel serbatoio e sfrecciare via da quell’incubo prima che sia notte.
Quando arrivo alla dogana Argentina sono le 19 é notte ed i doganieri mi guardano come fossi una visione.
Ma che ci fai in moto quassù d’inverno?
Non lo so, posso entrare?
Si, aspetta
Facciamo i vari documenti di importazione e poi vengo inviato nella capanna della Vialidad dove troverò un luogo accogliente e caldo in cui mangiare e dormire per 20 pesos argentini.
E guardate con che faccia che mi ritrovo.
Dormire e godersi un lungo riposo sarebbe stato un bel regalo, ma la storia non è finita qui.
Que salvaje!!!!!!, aunque no me asombra me lo esperaba de ti… Bravo!!!!es toda una osadia subir en moto 6800mts…si tu supieras todas las expediciones que se preparan tanto para ascender Ojos del Salado…te felicito…
segura de eso? porque a me me parece que es bastante manejar un auto en el paso i nada mas!
Yo lo decia cuando suben a pie…hahahahhahahahaha… la cumbre mas alta del Chile…
Ora te lo posso dire: tu sei completamente pazzo!!!
E’ si, non puoi negarlo, solo un pazzo può pensare di scalare un vulcano di 7200m in moto da solo in pieno inverno!! 😛
Comunque ti faccio veramente i miei più grandi complimenti, sia per il coraggio/incoscienza che per le bellissime foto di quei posti che sicuramente in pochi avrete visto e goduto in questo periodo!
Un saluto dai 30° dell’estate italica ;P
David
ahahha, grazie.
erano 6800 però, non 7200…
viva i 30 gradi. a me piacciono di più i 90, ma fa lo stesso!
;-P
Cazzo, la roba invernale fa bestemmiare anche me come un afgano. Se la tolgo dalle borse, peso 300 kg in meno. Io, il paso San Francisco non l’ho fatto, l’ho solo accarezzato. Ho fatto il Paso de Agua Negra (4800 metri), che stava un poco piu’ in giu’, ma sono arrivato ai 5200 sul passo de Jama, ad Atacama, con scenari piu’ o meno simili. Ho qualche problema fisico, lo sai, e di salire oltre proprio non me la sono sentita. Oltre i 5000 metri il cervello va per i cazzi suoi, ed e’ facile morire per degli errori apparentemente banali. Lo dicono gli alpinisti, ed io gli credo. Ma, detto tra noi, quanto avrei voluto essere anch’io li’ con la mia transalp griggia a spalare neve con le ruote stradali??? Che spettacolo!!! che spettacolo!!!
Tu, non fare il pirla che a tirarti uno schiaffo da vivo ci terrei non poco. Understand?
Agua Negra era chiuso per ferie…. ;-P
Il passo Jama non l’ho fatto, perché asfaltato. Ho preso quello sotto, di terra. Si chiama Paso Sico. Ho fatto 40 km in prima a 15 km/h. E ho preso a calci la moto.
Tranquillo Daniele. Non muoio finché non mi scopo tutte le donne del mondo. Ho promesso a Rocco!
;-P
grande Gionata che ci racconti questo!
Evidentemente c’è qualche istinto di soppravivenza che ti fa rimanere ancora in un pezzo.
Il piacere lo mantieni nel farci anche viaggiare a noi.., ma abbi cura e non strappare tanto i limiti.., anche se, mi sa, che c’è qualcosa che ti fa sempre sentire fino a quale punto arrivarci.
Speriamo tu non debba utilizzare così spesso questo tuo strumento.., o forse nemmeno abbiamo nozione di quante volte ne hai utilizzato.., vero!?
Un caro saluto e complimenti!!! Le tue esperienze continuano ad essere uniche!
😛
Grazie Uly, e grazie per essere così presente su Partireper.it
Presto annuncierò la versione in spagnolo di Pp.it e ci saranno tutti i tuoi dati come traduttore.
Un abbraccio.