19 Luglio 2009
E’ passato.
La notte ha portato via con sé la confusione che avevo in testa. Ho solo bisogno di un caffè, di fare colazione e di raggiungere la Bolivia per vedere cosa mi aspetta.
Arrivo a Arica in men che non si dica e faccio la mia apparizione in un supermercato dove compro 5 litri di acqua (che stanno comode nella borsa passeggero adesso vuota) e qualcosa da mangiare.
Un venditore di fiori gay che aspetta fuori dall’uscita del supermercato, mi da il benvenuto e si preoccupa di raccontarmi le cose che non ho voglia di sapere.
Per dare un tono serio alla conversazione gli dico che ieri mi hanno rubato la tenda in Calama. L’avessi mai fatto.
Ora mi tocca sentire un sermone gay sulle capacità delinquenziali dei cileni e della maiala delle loro madri.
Siedo su una aiuola un poco lontana, solo, pronto a divorarmi uno yogurt ed un panino al formaggio e si avvicina un signore.
Da dove vieni?
Dalla luna! – dico con il tono più aspro del mondo
Ah, è arrabbiato – e fa per andarsene
Lo dice con il tono deluso, quasi dispiaciuto di aver interrotto la mia arrabbiatura. Non porta nella voca nessun risentimento ed accompagna il suo commento con il tipico gesto di chi volta le spalle e se ne va da dove è venuto, mortificato.
In quel momento mi sento dispiaciuto da morire e cerco di rattoppare la situazione con “no dai, stavo scherzando, siediti qui con me”.
Ho un carattere difficile a volte, come se ciò che mi rende irrequieto, dovesse essere noto a tutti e, di conseguenza, mi spetti la pace che la mia serietà impone. Però ho imparato a pentirmi di questi sbalzi di umore e, quando sono le buone perone a farmi rinsavire, mi sento già più calmo.
Così il buon uomo si avvicina e mi chiede che faccio lì e cosa penso di fare dopo il furto. Mi dice che per lavoro lava le auto mentre i proprietari fanno la spesa. 400 pesos cileni a macchina. Una miseria.
Lavora con due pazzi sudici di velluto, che strofina sulle carrozzerie slavate delle auto dei clienti.
Mi dice che è del sud e che lavora in Arica perché si guadagna bene. E’ una persona con gli occhi buoni, che passava nei miei dintorni e voleva parlare un po’.
Quando me ne vado da Arica diretto a Putre, mi sento già più sereno.
Faccio il pieno benzina e controllo il colore delle candele per vedere se la carburazione è corretta. Sono un po’ bianche, carburazione secca…
Però Putre e le catene andine che mi porteranno in Bolivia, sono sopra i 4000 mt, quindi meglio non cambiare l’assetto per ora.
Il cammino è tutto di asfalto, salvo qualche cuesta che mi porta dalla strada principale alla via parallela che costeggia i raccolti di verdura.
Salgo e salgo, fino a che la temperatura comincia a scendere e le vette cominciano a spogliarsi, fino a risultare completamente secche e, poco più su, ricoperte di neve. Da ieri non ho fatto molte foto. Il solo pensieri di scendere di moto e prendere la fotocamera in mano, mi ricorda che non ho più il mio prezioso ed introvabile tre piedi alto e così, un po’ per contro senso, evito di fare scatti.
Ne faccio alcuni ai lama pelosi che si aggirano fra i turisti che sostano al posto di blocco dei carabinieros cileni. Manca poco alla dogana di uscita e quando arrivo trovo la solita masnada di turisti usciti dal bus che siedono sul pavimento come fossero di ritorno da un’intrepida missione avventurosa.
Mettiti qualcosa addosso – faccio io – che si muore dal freddo! – commento ad una ragazza seduta per terra con la faccia di chi parla inglese.
Ride e mi risponde che lo farà.
L’uscita dal Cile, per l’ultima volta, comporta un timbro qui ed un timbro lì. A pochi km, a Timbo Quemado, c’è la dogana boliviana.
Arrivo a velocità ridotta e la realtà del paese mi si presenta subito agli occhi con una ironica forza: camion ovunque, gente per strada e nel mezzo delle carreggiate designate per i veicoli in transito. Un labirinto irrisolvibile di cose e persone tutte ammassate a fare che, non si sa.
Alcuni scendono dai bus e si allineano davanti a degli sportelli, altri camminano, altri vendono alimenti, altri urlano “cambio, cambio, dollares”. Io mi faccio strada fra i varchi aperti tra un camion e l’altro. Alcuni camionisti che mi notano mi fanno cenni con gli occhi per aiutarmi a trovare dei varchi abbastanza grandi per passarvi con la moto.
Quando arrivo ad una sbarra, mi fermo e scendo.
Dove vado? – chiedo in giro
Un signore di passaggio mi dice “duana y despued pedaje”.
Ma c’è da pagare?
Si – dice lui
C’è un bancomat qui?
Non saprei
Ho un presentimento. Ossia, in verità di occasioni per prelevare ne avevo a migliaia in cile, prima di arrivare qui, ma a me semplificarmi la vita non piace e senza la componente di rischio di complicarmi la vita, niente mi risulta interessante.
Così mi trovo qui in dogana senza più pesos cileni, senza dollari da cambiare, con la carta di credito che non funziona e con gli ultimi 15 litri di benzina.
Troverò un bancomat o pago la benzina con poste pay – penso
La doganiera, tanto è occupata, mi parla in monosillabi e mi dice di fare questo e quello e di ripresentarmi da lei.
Mi da il modulo della importazione temporanea per la moto, mi dirige all’ufficio pubblico e mi invita a ritornare dopo aver fatto la registrazione del modulo.
Per registrare il modulo, mi chiedono 10 bolivianos (1 euro). Faccio presente che non ho contanti e che sono più che felice di ritirare del contante o di pagare con visa, se mi viene fatto presente dove posso operare con carta di credito.
Il tipo non ci pensa su molto, compila il formulario nel computer, apporta il timbro sul mio documento e me lo rende senza obiettare o chiedermi i soldi che gli devo.
La doganiera controlla il modulo, scrive due cagate sul registro e mi dice di passare per l’immigrazione. Alla fila dello sportello di ingresso, ci sono solo io ed una ragazza bionda che è seduta dentro allo sportello, con un ufficiale che le fa compilare un foglio.
Quello che sembra essere il suo ragazzo, è seduto accanto a me, con due zaini e la faccia in attesa.
Che avete combinato?
Io niente, lei invece è degli stati uniti…
Ah!
Si, noi europei non paghiamo per entrare in Bolivia, loro si.
E quanto?
165 dollari americani
Che bello essere europeo…
Puoi dirlo forte
Compilo il cedolino di ingresso, faccio timbrare il passaporto e sono dentro. C’è un casello da pagare, ma senza dare troppo nell’occhio, entro in prima e seguo aspettando il grido di qualcuno che mi dica “ehi tu, fermo…”
Ovviamente non succede ed in meno di 1 minuto sono lontano dalla dogana e parcheggiato nella stazione di servizio con uno yogurt in mano.
Il prezzo della benzina qui è ridicolmente conveniente, ma di pagamento con visa, nemmeno la traccia.
Così mi metto il cuore in pace e con 2 ore di sole rimaste, mi metto in marcia per il paesello grande che appare sulla mia mappa cilena.
Nel paesello, dopo aver chiesto invano ad una guardia dove sia il bancomat, decido di puntare su chi lavora con i turisti. In un hostello tappezzato con puma imbalsamati, la gestrice mi spiega gentilmente che non ci sono bancomat, che in bolivia difficilamente si paga con carta di credito e che sono a 120 km dalla città che potrebbe avere un bancomat abilitato.
Patacamaya?
Si
120 km?
Si, quanta benzina hai?
5 litri o poco più
E ti bastano?
…
Saluto e ringrazio, meglio sfruttare gli ultimi 30 minuti di luce e vedere dove arrivo.
Quando però fa buio e la moto si ferma obbligandomi a versare gli ultimi 5 litri di riserva della tanica extra, mi rendo conto che sono sull’altopiano, dove non ci sono villaggi, non ci sono luci che segnalino la presenza di abitazioni o persone e che se rimango fermo qui, ciao!
Così guido per 2 ore a 70 km/h e quando entro in Patacamaya, spero con tutto me stesso, di trovare un bancomat abilitato.
Lo trovo, ma non mi permette di prelevare e così rimango fermo senza idee.
Non ho soldi.
Non posso mangiare
Non posso pagarmi un posto dove dormire
Non posso guidare fino a La Paz per trovare un bancomat, perché non mi basta la benzina.
Per istinto, inizo ad occuparmi dei bisogni primari e così ricordo di avere il cibo per militari in buste sigillate che mi ha regalato Ignazio in Calama. Ne mangio due e mi sento già meglio.
Per il freddo, non potendo prelevare o pagare una stanza, decido di chiudermi dentro all’abitacolo riscaldato della banca dove sta il bancomat e dormirci dentro. Se non altro domani sarà ancora vivo e pronto a chiedere alla banca una soluzione.
Così, con tappi nelle orecchie e sacco a pelo, mi chiudo con il bancomat e la moto parcheggiata fuori dalla porta.
Cado addormentato, ma alle 21 la guardia, chiamata da La Paz per la segnalazione in video camera di un mezzo che ostruiva la porta (la mia moto?), mi bussa alla porta e mi dice di uscire.
E’ un ragazzo giovane, dall’aria umile e tranquilla. Gli faccio presente che non ho contanti per pagarmi una stanza, che i 10000 pesos cileni che ho scoperto di avere poche ore prima, non me li cambiano e che non ho dollari.
Se mi aiuti a cambiare questi 10000 pesos, sono a cavallo!
Mmmmm…
Così andiamo assieme, io e Vidal, dalla ragazza che gestisce una negozio di telefonia che “COMPRA DOLLARO”. Mi ero già recato da lei due volte, disperato, prima i chiudermi dentro al bancomat, chiedendo se mi poteva salvare la vita cambiandomi i pesos in bolivianos.
Risposta: niente…
Adesso che Vidal le chiede di cambiare i miei soldi, lei fa una telefonata alla proprietaria, approva la richiesta di Vidal e mi passa 110 bolivianos. La guarda con tanto di quell’odio da immaginare la sua testa esplodere e spargere nell’aria migliaia di coriandoli…
Te l’ho chiesto due volte prima di aiutarmi e non mi hai considerato. Grazie eh! – dico quando ho i bolivianos in mano
Lei ride divertita, alche la maledico con tutto me stesso…
Adesso che ho contanti, pago una stanza per 15 bolivianos (1.5 euro), mi faccio una doccia, mi metto a dormire e per oggi non ne voglio più sapere!