23 Gennaio 2009
La sveglia é per le 6:30.
Ho dormito malissimo e sto per rimettermi a letto, ma fuori una macchina viene verso di me.
Vedo i fari lontani, sfrecciare lungo il sentiero terroso che ieri mi ha portato fin qui.
Quando il conducente mi vede, rallenta, si interroga sul perché ci sia una tenda ed una moto tricolore nel bel mezzo del suo podere e poi, lentamente, se ne va.
Mi alzo e contemplo la freschezza del mattino, proprio durante quel momento di rinascita che é il sorgere del sole.
La linea all’orizzonte che taglia il cielo poco sopra gli alberi, é di un rosso acceso. Caldo e denso.
Controllo l’olio con la moto diritta, su un punto a livello.
Proprio come dice il manuale.
Mi viene da ridere se penso che é la prima volta in 4 anni, che controllo l’olio in maniera corretta.
Il clima é fresco, sopra i 100 km /h addirittura freddo.
Non indosso una felpa sotto la giacca perché ieri ho viaggiato quasi esclusivamente di giorno, con temperature impossibili.
La ruta sulla quale mi trovo é la 51, perché la 3 mi é stata sconsigliata dall’amico di Jorge.
La Ruta 51 é più bella, sulla 3 non c’é niente.
La tipologia di strada adesso, sulla Ruta 51, fa pensare ad una statale meno trafficata, diretta a qualche località turistica di montagna secondaria, che magari si può raggiungere più velocemente da un’altra Ruta.
Finisco la benzina prima del previsto (solito cazzo di problema consumi) ed alla prima stazione di servizio mi fermo.
Sono le 7:30 e non sono ancora aperti.
Mentre decido di aspettare, decido anche di sdraiarmi accanto alla moto con tuta e casco e mi addormento.
Mi sveglio due ore dopo, con un cane bianco che mi abbaia da lontano.
Mi rizzo a sedere e lo chiamo a me, per una carezza.
Il cane scappa in casa, da dove esce una signora anziana seguita da una madre con in collo un bambino.
La stazione de servizio esta serrada? - chiedo con il mio spagnolo improvvisato.
Mi dice che la stazione di servizio non apre, perché non é più operativa.
Donde esta la proxima stazione de servizio para ella direzione? - chiedo.
Mi dice 65 chilometri, ma potrei aver capito male. Forse 35.
Dovrei aver abbastanza benzina di scorta nelle taniche, così mi maledico per aver atteso 2 ore nel posto sbagliato e mi affretto a trovare della benzina.
La trovo in un paesino di campagna che ha tutta l’aria d’essere la località turistica che avevo previsto.
La ragazza alla stazione di servizio si chiama Silvina e risponde con grandi sorrisi alle mie provocazioni.
A che ora stacchi? – le chiedo
Alle 14, mi dice. Con un sorriso…
Mannaggia, sono ancora le 10, non posso aspettare. Così pago il mio pieno, gonfio le ruote scoprendo che quella anteriore era troppo sgonfia e mi avventuro per le viuzze di città in cerca di un supermercato.
Ho con me ancora le paste comprate ieri a colazione e del pane.
Mi basta comprare del latte.
Ne compro mezzo litro e scelgo l’unica cassiera.
Lei non sorride.
Mi chiedo come mai ci siano persone su cui il mio buonumore non abbia effetto.
Negli occhi di lei leggo una timidezza che cela qualcosa di fragile. Non so se sia un lutto o qualcosa di simile. Semplicemente per lei, oggi non é un giorno buono per sorridere.
Esco dal supermercato ed un signore mi parla come se mi conoscesse da una vita.
Mi dice che lui sa che questa non é la prima volta che vengo nella sua città. La prima volta é stato 3 anni fa ed ero con un ragazzo Rumeno.
Gli dico che non sono mai stato qui prima di adesso e che sono appena arrivato.
Lui ringrazia e se ne va rapidamente.
L’ufficio turistico della città si erge al centro di un grazioso parco che fa ombra a delle panchine di legno e ad un gruppo di boy scout di giovane età che siede in cerchio sotto ad un albero.
Li osservo mentre bevo il mio latte e sgranocchio le mie paste.
Vesto tutto di nero, con la mia barba sfatta e gli occhi assonnati.
Per lo più ho le mani sporchissime e porto sul volto la faccia di chi si gode la sua colazione all’ombra.
Ecco perché le vecchiette sedute nel parco mi lanciano occhiate preoccupate, quasi la mia presenza minacciasse la longevità della loro stessa vita.
E quella del paese e degli alberi e della maiala delle loro madri…
;-P
In realtà scrivo ‘ste cazzate alla fiorentina (maiala di tu ma ecc) per intrattenermi durante la stesura di questo Diario di Bordo.
Immaginatemi seduto dentro al negozio di una stazione di servizio. Lato vetrina, dove posso vedere la moto.
Cuffie nelle orecchie con gli AudioSlave incazzati dentro che gridano ed io che sorrido ogni qual volta scrivo “la maiala delle loro madri”.
Non sono forse adorabile?
Flirto per un nanosecondo con una ragazza che lavora in uno stand per attività ricreative per pensionati.
Lei é mezza argentina e mezza araba. Bellezza affascinante.
Seguo un sentiero fuoristrada di 40 km che costeggia una laguna e che si ricollega con la ruta 51.
Si sta facendo sempre più caldo ed é quasi ora di pranzo.
Immagino che la mappa mi suggerisca di andare in cerca di cibo e benzina nella prossima grande città.
Finalmente il mare – penso.
La città si chiama Bahia Blanca e sembra essere abbastanza grande.
Indossare pantaloni e giacca adesso mi risulta impossibile. Non so che temperatura ci sia, ma l’afa e l’aridità di questa città é tale da farmi venire giramenti di testa.
Entro nel supermercato dove compro pane, pomodori e degli affettati.
Compro anche una bottiglia d’acqua ed esco in cerca di un prato.
Quello che trovo é secco. Non c’é erba e la terra che abbonda nelle aree altrimenti verdi, é ricoperta da piume bianche di piccioni, a cui spetta il dominio stesso del parco.
Forse perfino della città.
O della regione.
E se mentre ero via, i piccioni avessero conquistato il resto del mondo?
Scusate, stavo cercando di RI- auto intrattenermi…
Mangio le mie cose seduto per terra, indossando solo i pantaloncini protettici della Ufo Plast che mi danno tutta l’aria d’essere non un Viaggiatore, ma un omosessuale.
Niente contro i gay, per carità. Però lo stacco di gamba pelosa che metto in mostra, non sembra allettare nemmeno una delle ragazze che mi passano davanti.
E poi fa un caldo.
Mi addormento abbracciato al mio casco e gli stivali Gaerne.
Quando mi risveglio, una ragazza armata di 4 cani, mi passa davanti e mi chiede con un buon inglese:
Are you a traveller?
Emm… i guess so – le rispondo.
Lei poi mi chiede se viaggio per aiutare gli altri alche ho un attimo di esitazione. Le dico che se posso lo faccio, ma il mio non é un viaggio umanitario.
Alché lei commenta con una domanda che mi spiazza:
Quindi tu viaggi per aiutare te stesso?
Taccio.
Da una parte ha ragione. Dall’altra pure.
Le chiedo il perché della domanda e scopro che abita proprio qui davanti. Mi dice che ha visto il sito sulla mia moto e che ha controllato su internet il mio sito.
AAAAAAAHhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh – sdrammatizzo io.
Ma dentro di me, in realtà, so che non c’é niente da sdrammatizzare.
Riparto in moto poco dopo, con i pantaloncini Ufo Plast ed una maglietta.
Sulla borsa posteriore c’é tutto il resto, rilegato con i tiranti.
Ho con me ancora qualcosa da mangiare. Chiedo più volte la strada che mi porti fuori dalla grande Bahia Blanca e vengo più volte indirizzato ad una Rotatoria, dove ci sono cartelli specifici per ogni direzione.
Sono le 15 e giuro, in 4 anni, non ho mai guidato in condizioni climatiche più sfavorevoli di queste.
Ci sono 50 gradi.
L’aria che mi entra sotto i vestiti a 100 Km/h, brucia.
Il sole punge sulla pelle scoperta e dentro al casco, la testa sembra esplodere da un momento all’altro.
Quando arrivo alla Rotatoria, sull’altro lato dell’enorme rotonda, vedo un motociclista alla guida di un triciclo a motore.
Lo seguo e quando mi vede mi fa cenno di affiancarlo.
Dove vai? – mi urla
Al sud. Patagonia – gli rispondo.
Andiamo!
E non parliamo più. Semplicemente guidiamo uno dietro l’altro. Io sulla mia Honda Transalp tricolore e lui sull’enorme triciclo a motore nero, dotato di un propulsore Renault 6 1600, il serbatoio di una Kawasaki e la forcella anteriore di un chopper.
Lui si chiama Fernando, é giornalista e musicista.
Mi invita spesso a fermarmi per una beuta od un panino e, durante le varie soste, mi chiede dove vado e quali siano i miei programmi.
Visto che di programmi non ne ho, lo seguo. Percorriamo 120 Km da incubo, attraverso la Patagonia del Nord che ci cuoce piano piano con i suoi 50 gradi.
La tratta prevede anche una sosta per il controllo sanitario di alimenti da un lato all’altro della regione. Un po’ come in Australia, fra il Northern Territory ed il Western Australia.
Frutta e verdura, carne e piante non sono ammessa da una parte all’altra dalla regione.
A me non controllano molto.
Mi aprono la borsa serbatoio, ci guardano dentro e mi lasciano passare.
Quando arriviamo a Rio Colorado é ancora caldo, ma la temperatura é di 43 gradi.
Dicono tutti che sia un clima anomalo per la regione. Seduti dentro al bar dell’ennesima stazione di servizio, decidiamo di pagare 3 pesos (3.50 euro) l’uno per avere accesso alla parte balneare del Rio Colorado.
Parcheggiamo le moto davanti all’argine con ragazzi e ragazze attirate dal triciclo di Fernando e ci tuffiamo nel fiume senza esitare, rilassati dalla freschezza dell’acqua.
Passano ragazze giovani, vestite di quei bichini per cui vorresti commettere un omicidio.
Specialmente ora, lontano dalla città, ogni donna mi causa gravi problemi ormonali.
Accidenti a loro…
Fernando é d’accordo con me. Le donne argentine sono bellissime. Quando una arriva e se ne va salutandoci con la rotondità del proprio culo ondeggia tonicamente, io e lui ci guardiamo e commentiamo ad alta voce, includendo qualche nome di santo ed anche Dio.
Ci facciamo una doccia calda.
E’ sempre un piacere rimettersi in viaggio con dei vestiti puliti.
Poi adesso sono le 19 e non é più caldissimo, anche se la temperatura é sempre alta.
A 30 Km da Rio Colorado le nostre strade si separano.
Lui prosegue verso Ovest ed io scendo a sud, sulla Ruta 3.
Ci abbracciamo e ci promettiamo di scriverci.
La ruta 3, a quest’ora é desolata ed infinita.
Una linea retta nel mezzo della Patagonia.
Camion che vanno. Camion che vengono.
Poi ci sono io, ritto sulle pedaline, che cerco di areare più superficie possibile del mio corpo, onde evitare di sudare e puzzare di nuovo.
Il sentiero in cui dormo dista un bel 80 Km, ma non é ancora notte.
Lo trovo senza problemi e guido a luci abbaglianti con il casco a metà tesca.
Una lepre mi rincorre a pochi mentri. Sul tracciato battuto del campo coltivato che é tagliato a metà dalla strada che percorro, corre rapidissima la lepre.
Guido a passo lento, stando al passo dell’animale che sfreccia con una perfezione quasi meccanica.
E mentre la lepre fugge al mio fianco ed io mi mantengo in sua prossimità con un minimo gioco di acceleratore, mi rendo conto di quanto perfetta ed efficiente sia la natura.
Un concentrato di “tecnologia” biologica che l’uomo non riuscirà mai ad eguagliare e riprodurre.
La tenda é piazzata sul lato del sentiero stesso.
Dentro c’é il mio sacco a pelo ed il materassimo.
Mangio tutto quello che mi é rimasto, ma scopro di avere solo 1/4 di litro d’acqua. Faccio economia, bevendone a piccoli sordi, ma con l’afa ed il calore che ho assorbito tutto il giorno, l’acqua da bere dovrebbe essere molta di più.
Così mi corico a bocca asciutta dentro la mia tenda.
Sono le 22 ed ho la sveglia settata per le 6, ma presto realizzo che tutta l’energia solare emanata durante il giorno ha surriscaldato la terra così tanto da rendere la tenda un ambiente inabitabile.
Apro la lampo della zanzariera e provo ad addormentarmi.
Ci riesco solo alle 2, in una bagno di sudore.
No, i piccioni giganti! AIUTO! mi beccano…
ahahhahahah…
ma quindi non hanno conquistato il mondo?