Il mattino inizia con una buona colazione di uova strapazzate, caffè caldo e le valige da rifare.
Le borse interne soffici delle GIV I Trekker che monto hanno una vita propria. Hanno preso la forma di quello che ci metto dentro e non si appiattiscono più. Sono sporche di mota e fango secco sbiadito dal tempo e dai km. Non sporcano più ma sono segnate da qualche pioggia amazzonica o qualche caduta nel fango di chissà quale avventura passata.
Cambio il regolatore con quello di scorta e mi rendo conto che quello che ho su è molto più grande del secondo che ho da parte. Per precauzione controllo la batteria ma il liquido è a livello ottimale. Se davvero il regolatore è la causa del guasto elettrico che ho avuto, allora così almeno non si ripresenterà per qualche migliaio di km.
Do un occhio al voltmetro quando riparto e mio malgrado vedo che la tensione erogata dalla batteria è ancora sopra il limite. 19, poi 18.5 e scende in un paio di minuti fino ad arrivare ai 14.4. Tengo luci e abbaglianti accesi per abbassare la tensione e quando il voltmetro segna il voltaggio giusto vado in cerca di un benzinaio. Faccio il pieno, compro un litro d’olio Repsol, compro una bottiglia d’acqua con cui riempire il camel back e controllo il livello dell’olio, mentre chiedo in giro se c’è un ingrassatrice per i capezzoli del mio mono ammortizzatore o meglio ancora un multimetri in giro.
E’ domenica signore, apriranno domani
E andiamo avanti. Proprio mentre salgo in sella si avvicina un peruviano gentile e curioso che mi dice di essere un volontario pompiere e fra una domanda e l’altra mi dice di stare attento alle prossime città perchè sul manto stradale mettono i “denti di squalo”, ganzi fatti artigianalmente con il filo di ferro per forare le ruote dei passanti e saccheggiarli.
Lo terrò presente grazie.
I denti di squalo mi rimangono in mente per le prime 3 curve e poi sono già immerso nel mio mondo interiore, illuminato da quello esteriore che sfreccia, suona, ruggisce, echeggia e scorre come un nastro di pellicola cinematografica. Entrano colori, volti, sorrisi, donne, uomini, sporcizia, animali, alberi, sabbia, asfalto, curve, pendenze, vento, polvere negli occhi. E questo è il viaggio, la strada e quello che ho visto e vedrò per tanti altri km ancona.
Continuo sul lato del pacifico tremendamente ansioso di rilanciarmi dentro alle montagne, forse più bagnato ma certamente più contento. Se penso a chi è partito da Ushuaia ed è arrivato in Alaska attraverso 36000 km di autostrada (la Panamericana appunto) allora mi chiedo se forse non sarebbe stato meglio farsi la Milano Reggio Calabria 36 volte e coprire la stessa distanza. Qui non c’è niente da vedere. E’ più brutto e sporco e desolato di quanto siano le belle autostrade italiane ed è meno autentico e tipico di quanto non lo siano le strade che si perdono fra i villaggi di campagna.
Arrivo finalmente allo svincolo ed il cambio è immediato. I fiumi che irrigano i cambi macchiano di un verde intenso tutta la vallata, case piccole e pulite appaiono tutte intorno e persone sono chinate a lavorare nei campi di riso o sulle loro moto a cui hanno allacciato una zappa o una vanga. Ci sono i bimbi, ci sono gli animali, la strada è più stretta ma ben mantenuta. Davanti le montagne, attorno i campi ed io sono dentro al loro monto, no loro dentro al mio. E questa moto è la chiave d’accesso a quella cosa bellissima chiamata scoperta.
Non sono partito prestissimo da Trujillo e fra una curva e l’altra mi accorgo che sono le 14 e che ho una fame bestia. Mi fermo in un posto che sembra tipico locale, ma anche abbastanza decente da avere cibo variegato. Chiedo per il sudato di trota ( che mi hanno consigliato in tanti) ma non ce l’hanno per cui accetto il suggerimento offerto dalla cameriera che dice che il sudato di anguilla è molto buono. Adoro il pesce, specialmente i frutti di mare, ma se c’è da passare 30 minuti per boccone a togliersi le spine dalla bocca allora mi girano i coglioni così prima di ordinare le anguille chiedo se hanno molte spine.
No no, quasi nessuna.
Quando arriva il piatto si presenta benissimo, con il suo piattino di riso a forma di piramide, la yuca, le verdure e tutto il resto. Chiedo gentilmente alla signora di spiegarmi come si mangiano e sorridendo mi mostra come togliere la testa dell’anguilla e come mangiare tutto il resto. Riempio la forchetta di riso e cipolle, finisco il tutto con un pezzo di anguilla senza testa e via in bocca.
Primo morso e sono pervaso da una sensazione di porco spino nella bocca e comincio con pazienza chirurgica a togliermi le mille spine dalla bocca mentre l’ansia di deglutire viene uccisa dal timore di perforarmi l’esofago. Mi rassegno e faccio una pulizia generale, scartando pelle e la spina dorsale di cada anguilla, togliendo a mano e con il cucchiaio le spine più evidenti. Mi faccio dei bocconcini, ma la passione mi è andata tutta via. Adesso più che una scorpacciata sto facendo un lavoro di pulizia chirurgica.
E pensare che sono uno che adora riempirsi la bocca di cibo e poi mandare giù!
Finisco il piatto abbastanza pieno ed il proprietario che ha notato le mie notevoli difficoltà nel gustarmi il suo piatto, si avvicina e mi regala due manghi maturi presi da uno dei mille alberi di mango che fanno ombra nel cortile del ristorante. Non ci sono additivi, conservanti e si colgono maturi o si prendono dal suolo quando cadono, pulendo la parte rotta.
Lo pelo e al metterlo in bocca mi si rivela una reminiscenza!
Il mango più buono dell’universooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo! Fresco, succulento, saporoso, dolce, naturale!
Mi mangio subito anche l’altro e così il proprietario si riavvicina e me ne da uno un po’ meno matura da portare via con me in moto per mangiarlo domani o il giorno dopo. Felicissimo, pago e sono di nuovo in sella verso Cajamarca. Non conosco niente di questa zona o regione e seguo la mappa guidato da quello spunto disinteressato e libero con cui mi sono visto mezzo mondo. Magari perdendomi lo spot turistico dietro l’angolo o la cosa che tutti devono vedere, ma godendo di questo ritmo sereno che ti porta comunque a vedere cose nuove e belle e che fanno riflettere.
Cajamarca da lontano si vede proprio come una bella città. Ampia, ma non troppo. Abbracciata dalle montagne e distesa su un manto verde della valle. Si vedono edifici vecchi, chiese, campanili e piazze ed il sole da questo angolo dove sono fa proprio un bel gioco di prospettive. Scendo velocemente e scopro che si festeggia qualcosa. Sembra ferragosto. Sono tutti mezzi fradici ed hanno in mano secchi pieni d’acqua e gavettoni. Mi faccio strada fra la folla di un processo religioso ed arrivo alla piazza. Fa freschino e decido di vedere lo spettacolo dei gavettoni dalla vetrina di un hotel dove prendo un caffè.
Un paio di signore grassottelle e simpatiche mi implorano di uscire dove ho lasciato la moto e scattarmi qualche foto con loro, mentre dentro c’è una foto modella seduta dietro ai suoi occhiali da sole che non spiccia una parola ma mostra un decolté tanto generoso da prenderla a schiaffi.
E tu non ti vai a bagnare in piazza?
No… non sono mica scema
Vista il notevole senso dell’ironia di questa bella statua seduta, volto le spalle e chiedo qualche informazione al portiere dell’hotel che mi spiega che siamo nel periodo del carnevale e che Cajamarca è la capitale di questa gioiosa festività.
La festa vera inizia solo fra due settimane, ma qui nella capitale si inizia a giocare molto prima, come può vedere…
Lascio la piazza in prima, andando piano e infilandomi tra le due file di auto che girano attorno alla piazza con persone in piedi fuori dai finestrini muniti di secchi e fucili d’acqua. Cercano di bagnarmi un paio di volte ma non ci riescono e quando sono fuori dalla città è già abbastanza buio e devo avanzare rapido per trovare un luogo dove accamparmi. Non lo trovo, ma trovo un benzinaio che mi fa il pieno e spiega che la strada asfaltata termina di lì a poco e riprenderà a Chachapoyas, molti km più in là.
Entrando sullo sterrato, anche se di notte, vedo che le case si diradano e ci sono vari campi desolati lontano da tutto. Trovo il primo disponibile, controllo il terreno, scelgo il punto meno in pendenza, preparo la tenda con il fornellino, mi faccio un piatto di fusilli al pomodoro e poi decido che è meglio fare la manutenzione al fornellino MSR perchè è un po’ sporco e non carbura bene.
Un cacciavite a stella, delle tenaglie ed il gioco è fatto. Provo ed il fornellino funziona come nuovo.
Soldi spesi bene e dura pure un sacco.