21 Gennaio 2013
Mi sveglio tranquillo.
Il cane di ieri sera ha abbaiato per ore poi mi sono addormentato ed al risveglio non lo sento più. L’erba di questo campo è davvero alto ed anche umida. Vista la pendenza per uscirne dovrò badare a non far scivolare la ruota posteriore o vado per terra. Intanto, mentre penso a cosa fare e cosa fare prima, mi prendo il mio mango e me lo mangio seduto dentro la tenda con i piedi sull’erba e guardo lontano, mentre nella strada sopra il campo, dietro di me, passano i primi operai e contadini con le loro moto e con i loro camion.
Lascio le bucce sull’erba, magari fra 10 anni qui ci sarà un mango!
Impacchetto tutto ed ecco che comincia a pioviscolare. Metto la tuta anti pioggia della Clover ed al primo tentativo di uscire dal campo scivolo e la moto mi cade per terra, ma senza danni. La prendo larga, di sbieco per evitare di dare alla salita un’inclinazione troppo ripida ed esco tranquillo dal campo tornando sullo sterrato compatto di questa zona.
Procedo a gomme gonfie e a bassa velocità fino ad arrivare all’asfalto di nuovo però i lavori in corso non permettono ai veicoli di passarci sopra per cui svolto a destra per la deviazione che mi porterà a Sucre. La strada è compatta, ma a volte piena di corrugazioni. A ruote gonfie si sente di più il colpo secco delle buche per cui cerco di evitare i fossi e scendo a valle mentre dalla distanza appare Sucre, che sembra una piccola Cajamarca.
Entro e la citàà è ordinatissima e tranquillissima. Vado in giro, entro nella piazza, mi guardo in torno e le uniche porte aperte sono alimentari che non servono cibo. Chiedo in giro ed alla fine trovo una porta di vetro dalla quale esce una signora con la faccia piena di rughe, gli occhi azzurri ed un sorriso splendido. Mi riceve come un re e mi chiede cosa desidero che mi sia servito. Per evitare di mangiare riso e pollo anche questa mattina chiedo pane e uova strapazzate con un caffè e mentre la signora sparisce contente in cucina mi si avvicinano tutti i nipoti che vivono lì con lei, assieme alle rispettive famiglie.
La signora torna alla tavola dove sono seduto che già mi sono scattato varie foto con i bambini ed ho regalato una dozzina di adesivi di partireper. Non è per pubblicità o perchè spero che vadano su internet a vedere il blog, però sono sicuro che un adesivo, a dei bambini è sempre un regalo ben accetto a prescindere dal contenuto.
La colazione vola giù come una medicina, mi rivesto, parlo un po’ con la signora che mi dice che il villaggio è adesso desolato perchè la diga a privato i campi di acqua e per lavorare le persone se ne sono andate tutte a Cajamarca, lasciando la casa chiusa.
La signora sopravvive con i pasti che vende e le stanze che affitta. Mi chiede 10 soles per la colazione, ma glieli pago volentieri anche se sono troppi, convinto che a lei saranno molto più utili che a me. E poi cosa diamine ho lavorato per 3 anni di fila risparmiando tutto se non per spendere bene i miei soldi?
Riparto e la strada ci mette poco ad arrivare a Celendin, cittadina della zona che apre le strade alla tortuosa strada sterrata che si vede nella foto in alto. Peccato per la nebbia e per la pioggia. Faccio comunque delle foto e salgo salgo salgo fino a mettermi in qualche villaggio dove le galline scappano ai lati, i cani mi vogliono divorare le ruote e le persone si fermano per vedermi passare. Saluto con la mano, le dita bagnate dei piedi non sono il massimo, ma se mi concentro su quello che avviene fuori dal casco allora non posso biasimare certo una piccola infiltrazione di pioggia negli stivali.
Ho su felpa, tuta anti pioggia, guanti e calzini di lana. Va bene finché non si bagnano i piedi e se la temperatura non scende posso continuare senza accusare troppo l’umidità che mi pervade. La nebbia si apre, la strada comincia a scendere e dalla cima in cui mi trovo si vedono km e km di curve che tagliano le montagne e mi riportano con lo sguardo fino a valle, dove vedo un fiume. Non faccio in tempo a scendere che il cielo si schiarisce, la nebbia sparisce, il sole ritorna e adesso sono praticamente a valle con 35 gradi e 4 strati a tenermi sigillato.
Ci sono dei lavori in corso e mi fermo quasi morto dal calore. Scendo dalla sella, mi tolgo tutto rapidamente e rimonto in sella con la tuta con tutte le prese d’aria aperte. Ci metto un po’ e tutte le auto ferme in fila che avevo superato adesso mi sono passate davanti e sono l’unico rimasto. La ragazza vestita di arancione riflettente mi guarda, preme il tasto della radio e dice:
Si, scendo per il mio orario di pausa pranzo.
E come scendi? – chiede l’interlocutore
In moto…
E sorrido, perchè non me l’ha nemmeno chiesto e si è già invitata. Non ho un posto sella, nemmeno per una donna, ma decido di aiutarla senza fare il minimo commento che la vita è una sola e non si può fare i pignoli per certe cose.
Non ho una sella per te per cui dovrai sederti su questa borsa morbida
Si si, nessun problema
Così scendiamo 10 tornanti a passo d’uomo mentre lei continua a parlare per radio, poi mi dice di lasciarla andare dove siamo arrivati ed io continuo fino a valle da solo, recuperando la strada perdute ed i bus che mi avevano superato.
L’ingresso del villaggio che si erge dopo il ponte che attraversa il fiume ha un controllo polizia. Il poliziotto mi dice di aspettarlo, si avvicina, mi da un 5 e mi chiede le solite 5 cose. Le mie risposte sono sempre allegre e motivate, perchè se fai il coglione con la polizia che ti ferma per l’ennesima volta allora puoi anche stare lì a discutere per 40 minuti.
Mi chiede se ho mangiato, se conosco la strada e mi dice di stare attengo perché la strada continua con un buon asfalto, ma è strettissima, con uno strapiombo infinito ed i veicoli che scendono vengono a tutta manetta. Ringrazio saluto e comincio a risalire, felice di avere l’asfalto dalla mia con cui aumentare la velocità e far entrare un poco d’aria in questa tuta per dimenticare i 35 gradi che ci sono adesso. La strada sale talmente tanto e talmente in fretta che presto ritornano 18 gradi, con nebbia, pioggia e lì mi riparte un moccolo.
La parte brutta di viaggiare così non è la pioggia. E’ doversi cambiare di abbigliamento ogni 30 minuti cazzo. Ed io odio salire e scendere dalla moto ogni 30 minuti. Fosse per me ci rimarrei dal momento in cui parto al momento in cui finisco.
Pioggia significa guanti, significa ribagnare i calzini appena asciutti e significa che cadere in La Paz la scorsa settimana e distruggere l’impermeabilità della mia tuta anti pioggia è stata la cosa più dannosa che potesse accadermi, specialmente con questo clima.
Arrivo a Leymebamba con pioggia torrenziale, vedo una piazza, un paio di ristorantini e mi fermo lì. Entro e mi riceve una peruviana vestita di jeans attillati ed un maglioncino di lana rosso fuoco che sottolinea l’enormità mastodontica dei suoi seni. Li tiene su con un reggiseno di acciaio inox o cemento armato perchè quelle due cose lì, così ritte, da sole non si stanno. Mi distrae la televisione dove stanno dando il film di sex and the city e mentre aspetto il piatto che ho ordinato mi siedo davanti alla tv emi vedo questa perla americana immerso in un contesto completamente lontano e diverso quale il provincialismo peruviano andino.
Arriva il cibo e OH MIO DIO! la carne come piace a me! Taccio per 5 minuti e divoro tutto e prima di pagare chiedo alla signora che mi ha servito se hanno anche un dessert.
Si, puoi scegliere fra una di queste due fanciulle qui – e mi mostra le due ragazzine di 18 anni che la aiutano in cucina e che stanno sedute ad un tavolo preparando la carne per la cena da servire.
Ne viene fuori uno scambio di battute con cui ridiamo, ma alla fine esco a vedere la moto, fare un rabbocco olio e rassegnarmi davanti alla pioggia che ancora non ha smesso di cadere. Mi rimetto la tuta anti pioggia, con la felpa sotto, i guanti e con una scomodità disumana salgo in sella e mi avventura a casco basso fra le viuzze del villaggio che riportano sul sentiero principale, ovviamente sterrato e tutto bagnato.
Abbronciato ed anche un po’ demoralizzato avanzo senza altra scelta se non quella di resistere alla pioggia, sperando che diminuisca o, se ho fortuna, smetta per un paio d’ore. Non importa se poi arrivo a mettere la tenda con la tuta bagnata, ho comunque con me biancheria e vestiti asciutti di ricambio per cui non sarà un problema. La strada non è affollata però un camion è entrato in un fosso rovesciando al suolo centinaia di mattoni che stava trasportando e così una ruspa sta ripulendo la carreggiata creando una fila su entrambi i lati. Piove e sono fermo, ma a lavori ultimati la pioggia sembra sparire e davanti a me si intravede l’azzurro del cielo. Oltre tutto la stradina sterrata si è appena affiancata ad un fiume che scorre di fianco a me con una quantità d’acqua abbondante e incoraggiante. Ci facciamo compagnia per km e km e non lo perdo d’occhio mentre passa sotto a ponticelli, alberi e colora tutto il suo percorso di un verde smeraldo raggiante. Il cielo è ormai sereno e la strada non ha più curve e pendenze per cui metto su vari km in poco tempo fino ad arrivate a Tingo dove inizia il sentiero che porta a la Fortaleza di Kuelap, dove voglio accampare stanotte.
Kuelap 37 km. Chachapoyas 40 km.
Ci penso un attimo e mi immetto nella strada per Kuelap. Faccio due curve, vedo il manto del sentiero e noto che il fango si è disfatto e che la pendenza è tale non permettermi di proseguire senza almeno fare un macello e probabilmente cadere. Faccio retro front, prendo la strada per Chachapoyas ed in meno di 30 minuti sono di nuovo sull’asfalto che, apparso come una benedizione, mi porta dritto dritto al centro di Chachapoyas dove faccio benzina e cerco una cabina per le chiamate internazionali.
Cerco di chiamare il Cile per vedere come sta Ylenia, Leonardo e come sta la sua famiglia. Non risponde nessuno e così torno in piazza dove ammazzo il tempo parlando con tutte le poliziotte di turno. Mi bevo un caffè penso il da farsi e senza la ben che minima idea di cosa fare prima dell’ora di cena me ne vado in giro per le stradine per poi decidere di lasciare il serbatoio pieno per l’indomani.
Di ritorno alla città mi prende alla sprovvista un problema al carburatore. Metto in moto, ingrano la prima e la moto si ingolfa e si spegne. Sento un odore fortissimo di benzina per cui aspetto un po’, accendo, mantengo la moto al minimo dando piccoli colpi di gas e quando la candela regge i 3000 giri al minuto riparto in prima. Trovo un posticino carino dove cenare, metto a carica il cellulare e mi dimentico del problema. Dopo aver pagato mi avvicino alla moto per rimettere il cellulare al suo posto e una famiglia di passaggio mi chiede di dove sono e dove vado. Il signore è entusiasmato dalla moto e mi chiede varie cose sull’importazione in Perù dall’Europa ed il costo della moto.
Passano 10 minuti così, mentre la moglie ed il figlio ci osservano conversare. Poi il signore mi invita a casa sua a dormire e preso un po’ alla sprovvista ma per niente meravigliato da tale invito, accetto e seguo la famiglia a casa loro, soffrendo ulteriori problemi all’accensione.
Mi installo in salotto su un materanno con coperte e cuscino che portano per me dal piano di sopra. Ci soffermiamo a parlare e scopro che il signore ha un negozio di moto con servizio tecnico.
Se vuoi domani, con calma, scendi alla mia officina e vediamo il problema del carburatore…
Sarebbe fantastico.
Così ci diamo la buona notte e per questa volta la pioggia dovrà aspettare prima di ritornare a mettersi dentro ai miei stivali.