Tempo di rimettermi in marcia, ma la comodità dell’hotel è succulenta e mi invento mille scuse prima di rifare le valige e montare in sella. Dentro caldo, fuori freddo. Dentro letto, doccia, bagno, computer e comodità. Fuori cielo grigio, freddo, umido e chi più ne ha più ne metta. Sono solo 12 gradi, dice il termometro ma si sentono da fare schifo.
Per cui controllo l’olio, la moto parte senza problemi nonostante il freddo della notte prima e fra tutte queste cose non mi accorgo che non ho fatto colazione e che è quasi l’ora di pranzo. Poco male, avevo con me un salvavita: ieri ho comprato anche una bottiglietta di latte ed un barattolo di cereali a cui ho aggiunto delle banane. Ecco fatto. Purtroppo però una colazione così a me basta per 60 minuti e niente più. Vedrò cosa mi invento nei prossimi km.
Quando mi rimetto in marcia torna il sole anche se mi sto riavvicinando alla costa. Non fa più tanto freddo, c’è un bel cielo azzurro ma lo stomaco non può aspettare più. Per non spendere una fortuna devo ripiegare sui fast food e scopro che Mc Donald non è l’unico rivenditore di schifezze, bensì uno dei tanti che popolano le strade di tutti gli Stati Uniti. Servono sempre la stessa merda, però ognuno ha le sue ricette, i suoi accoppiamenti, le sue salve, le sue bibite, ma alla fine sempre hamburger sono.
Allettato dalla bontà di queste schifezze che normalmente evito a pié pari (certe litigate con l’Ylenia perchè a lei i Mc Donald non è che piace, di più!) uso come scusa il fatto che i ristoranti siano carissimi e che la cucina fatta in casa (quella fresca) scarseggi per cui mi infilo in un negozio di schifezze che non è Mc Donald e chiedo la cosa più buona che vedo nel menù: doppio hamburger con pancetta e pollo fritto croccante dentro. Un suicidio!
Per non gravare troppo sulla mia salute mi bevo un té freddo senza zucchero, non si sa mai.
Gli americani sono persone molto cordiali e cercando sempre di svolgere il proprio lavoro con professionalità, puntualità e grande accoglienza. Una cosa che mi mancava da tantissimo tempo, soprattutto in Cile dove nei ristoranti hanno sempre tutti quell’aria di sbattersene completamente i coglioni. Ed in più gli devi pure dare la mancia… Io puntualmente mi incazzo e puntualmente mi promettevo di non andare più a mangiare in un sacco di posti. Qui invece puoi andare a spendere 4 dollari o 40 ed il servizio è sempre cortese, impeccabile, gentile e se avanza tempo i commessi presenti si soffermano pure a chiederti cose sul viaggio e, il più delle volte, ti fanno dei regali. Abbiamo una visione di questo paese un po’ alterata dai film hollywoodiani e dalla politica che ci arriva dalla televisione, ma è ovvio che gli americani non sono il loro governo e che l’atteggiamento prepotente proiettato in tv non sono gli americani. Ci sono eccezioni, ne sono certo, ma sono dentro da vari giorni ed ho coperto una fascia grande di km che mi ha portato quotidianamente ad essere accolto con grande gioia ed affetto da molti di quelli con cui ho parlato.
Davvero la forma migliore e compiacente di smentire tutti i pregiudizi che avevo prima di arrivare fin qui!
A stomaco pieno e con meno senso di colpa del solito, risalgo in sella e continuo la cavalcata del giorno lungo il mare, sperando in qualcosa di più divertente. Purtroppo però, abituato come sono ai cambi repentini degli altipiani, della Patagonia e dei deserti atacamici, soffro un po’ i troppi km coperti sempre vedendo la stessa maledettisima cosa: il mare, la costa, la costa e il mare. Du palle!
E’ tutto così funzionale qui. Le strade sono ok, il transito è ok, gli altri veicoli sono ok, i rifornimenti sono ok, il clima è ok, il cibo è ok…. è tutto talmente ok che abituato ai percorsi e paesi avventurosi che ho conosciuto, questo mi sembra quasi una tediosa vacanza. Sicuramente è più adatto a venirci in camper con la moglie ed i figli…
Chissà magari ci ritorno in un prossimo futuro con la prole…
Ed è così che poi entro a Washington e poi arrivo a Seattle e mentre sta per calare il sole mi lascio alle spalle l’ultima grande città al confine con il Canada. Poi mi fermo a fare il punto della situazione. Ho la mappa, una tazza di cioccolata calda servita e la moto fuori, sotto ad un lampione acceso che si riposa un po’. Ho i capelli appiccicati alla fronte dal casco per i tanti km di oggi. Mi ha pure fermato un altra pattuglia che ha messo pure la sirena. Mi aveva beccato a svoltare a destra senza mettere la freccia e gli ho detto che aveva ragione. Questo però sembrava fare sul serio, ma quando è uscito dall’auto con i miei documenti in mano aveva la faccia sorridente e mi ha detto di fare attenzione e di pulire la freccia posteriore destra perchè il nero della marmitta non la rende visibile da lontano.
Cazzo che fortuna….
Però adesso, ore dopo quel fatale incontro, vedo che sono a 40 miglia dal confine e che, anche se tardi, posso darci dentro ancora un po’ arrivare A Vancouver e prendermi un giorno e mezzo libero, in un hotel per capire se potrò arrivare in Alaska oppure no, in base al clima ed alla moto.
Deciso, inutile spremersi le meningi. Lo voglio fare e questo è il momento giusto per prendere l’iniziativa.
Così pago, esco, controllo l’olio di nuovo, metto il casco e mi rimetto in autostrada ed in men che non si dica sono al confine con il Canada. Ho una sensazione migliore di quella che avevo quando sono arrivato negli Stati Uniti da Tijuana per cui senza pensarci troppo mi metto in fila e scopro che sto già passando davanti al controllo canadese. Questa volta non mi vado certo a cercare la dogana americana perchè se l’hanno fatto così sta cosa, un motivo ci sarà. Per cui aspetto dietro l’ultima macchina parcheggiata davanti al casello del controllo migratorio, avanzo quando è il mio turno, parcheggio con la visiera del casco già alzata e in 3 minuti, ne più ne meno, sono dentro.
Il doganiere canadese è amichevole, rilassato e rimaniamo li a parlare del mio viaggio e del mio blog nonostante lui mi abbia già timbrato il passaporto e dato 6 mesi di ingresso. Della moto non mi chiede niente, ma mi chiede come mi sono trovato in sud America e centro America, visto che lui ha una V Strom e vorrebbe andarci. Rimango lì volentieri anche io, senza mettermi fretta e dopo avergli stretto la mano, faccio una foto al cartello di ingresso in Canada ed arrivo tutto arzillo e contento a Vancouver che di notte mostra la sua ampiezza metropolitana, le sue luci, i suoi grattacieli. Mi perdo e poi un tassista indiano mi dice dove andare. I pressi sono proibitivi per cui mi vado a cercare un ostello dove poter almeno riposare, ma finisco con lo stare alzato fino alle 4 davanti al computer e quando entro nella mia stanza c’è un caldo della madonna con un puzzo d’alcool e uno dei 3 ragazzi che russa come un trattore.
PUTTANA MISERIA COME ODIO I DORMITORI DEGLI OSTELLI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!