4 Febbraio 2013
Mi sveglio con i soliti passi di chi scende in strada, si accorge della moto, della tenda, si avvicina poi se ne va.
Ci sono dei cani che abbaiano, mi fanno rigirare fra le cose su cui appoggio la testa, sbuffo, sbadiglio, i cani da fuori si innervosiscono ed io continuo a dormire. Poi suona la sveglia.
Fuori c’è il sole, la strada è circondata da palme da cocco, erbetta, fiori rosso intenso giganti e le persone che passano adesso le saluto stropicciandomi gli occhi.
Cerco la spiaggia, parlo con il proprietario e gli spiego che per me è impensabile che non ci siano spiagge libere. Lui è un uomo pacifico e mi spiega che la zona ha un parco nazionale che lo ospita e che dato l’afflusso di turisti e la presenza di terreni privatizzati da chi coltiva banane e quelle cose lì, è prativamente impossibile trovare un luogo libero per arrivare al mare.
Se me lo spiegavi ieri sera io ti lasciavo entrare anche gratis
Eh, ma sono arrivato troppo tardi e non c’era nessuno
Se vuoi stasera puoi stare
Grazie, però continuo il mio viaggio. Posso entrare a fare due passi in spiaggia’?
Certo che si
Ed effettivamente la spiaggia è bella, l’acqua cristalline, le onde gentili e la sabbia bianca però il luogo è organizzato con tetti di paglia, tavolini, bagni di legno ed ha anche una reception per cui non c’è niente da fare. O si paga o non si entra.
Monto in moto, già sto sudando come un vitello e vado in cerca di un posto dove fare colazione e sciacquarmi il viso. Trovo un villaggio presso un fiume dove un paio di persone servono colazioni. Mi siedo, metto il cellulare a caricare e mi viene servito un pezzo di carne con riso e patate. E’ normale qui fare colazione con la stessa cosa che poi avrai per il pranzo e magari per la cena. Il nostro continental breakfast non è poi così comune se non in Cile ed Argentina. Dal Perù in poi la mattina mi hanno sempre rifilato carne di marzo o pollo con riso e patate. C’è poco da fare….
Però che palle!
Continuo il mio viaggio ed entro nella città di Barranquilla dove passo lungo il mare e ci rimango di stucco. Qui le spiagge sono tutte libere e desolate. Forse è perchè il bel parco nazionale e le palme da cocco sono sparite. Eh!
Finalmente arrivo a Cuatro Vias che il ragazzo di ieri con la Yamaha XT660 mi aveva consigliato di tenere presente prima di entrare in Venezuela. Secondo lui da questo punto parte una strada verso la penisola più al nord del continente sudamericano ed il posto dove fermarsi per la notte e trovare la spiaggia bella e desolata si chiama Cabo de la Vela.
Sono 300 Kg di andate e ritorno su sterrato e sono ad uno sputo dall’entrare in Venezuela, ma è anche vero che io un tuffo in mare prima di andarmene dalla Colombia lo voglio fare per cui svolto a destra con una fetta di cocomero fresco appena comprata e via. Passo per Uribia e tiro a dritto ed eccomi lanciato ad oltre 100 km/h su uno sterrato battuto liscio e ampio, segno che qui fra poco ci viene una bella strada asfaltata.
Arrivo allo svincolo dove il cartello dice di svoltare per Cabo de la Vela e mi immetto in sentiero di merda tutto buche e corrugazioni che, con tutti i rumori e cigolii del mondo mi porta a Cabo della Vela. Ed il posto che è sicuramente turistico è completamente deserto. Ci sono ostelli e ristoranti lungo tutta la costa, lasciata completamente a se stessa senza installazioni di nessun tipo e la strada che ci passa davanti. E’ tutto sterrato e spesso si mischia con la sabbia cella costa. Dall’altro lato della strada ci sono altrettanti ristoranti e ostelli e camping che però mettono a disposizioni stanze o tetti in spiaggia dove puoi montare la tenda o dormire in amaca.
Vado su e giù lungo la strada principale 4 volte per capire quanto è piccolo sto posto e se mi sto perdendo qualcosa ed avvisto in uno dei ristoranti 5 avvenenti ragazze che stanno bevendo qualcosa. Prima di sedermi con loro e fare l’invasivo cerco di capire dove mangerò, dove dormirò e soprattutto se è possibile trovare un po’ d’ombra in questo posto. Niente.
Gira che ti rigira mi fermo davanti alle ragazze, parliamo, chiedo consigli e loro altrettanto smarrite finiscono con l’invitarmi a sedere con loro e bere qualcosa. Diventiamo amici, loro sono 5 amiche argentina sui 25 e sembra che domani se ne andranno perchè dopo due giorni non c’è più niente da vedere qui.
Parliamo di tutto un po’ e mentre arrivano le pietanze di mare appena cucinate mangiamo e beviamo quello che resta per poi pagare e darci appuntamento sulla spiaggia più tardi. Io ho la moto sulla spiaggia, mi metto il costume e sento che sono passato da un estremo all’altro. Qui non c’è erba, non ci sono alberi, non ci sono ombre e non ci sono persone. Non era esattamente l’ambiente che cercavo per accampare ma per lo meno c’è tranquillità.
L’acqua è gradevole ma le piccole meduse che la abitano mi bruciano le gambe in pochi secondi per cui la nuotata termina e mi faccio un giro sul bagnasciuga da solo, fino ad arrivare abbastanza lontano dalla moto da vederla piccolina piccolina. Entrano in acqua due ragazzi che stanno facendo kite suring e li osservo mentre mi chiedo se le ragazze saranno in spiaggia un po’ più in su dove si sono recate prima. Metto in moto dopo aver incastrato un pezzo di canna di bambù sotto il paracoppa per evitare ulteriori vibrazioni e rumori e mi vado a sedere con il gruppo di persone che si è formato davanti alla scuola di kite surfing. I ragazzi sono francesi, gli istruttori colombiani ed alla fine si comincia a parlare del mio viaggio, del loro, del Venezuela e del più e del meno. Andiamo a cena, poi ci ritroviamo in spiaggia di notte, con dei maglioni addosso e del rum che viene fatto girare assieme a delle canne.
Io non ho mai fumato, nemmeno una sigaretta (anche perchè sono già fuori di mio) e così godo della brezza notturna, sedere accanto a persone che appena conosco e rispondere alle domande di chi mi chiede del viaggio.
Si è fatto tardi e i più vanno a letto. Le coppiette che si sono formate rimangono a sbaciucchiarsi sulla spiaggia ed io sposto la moto a 500 metri vicino ad un cespuglio e mi ci istallo. Domani ci penserà il sole a svegliarmi e sai che goduria…